venerdì 31 agosto 2012

E con settembre racconterò le persone della corte, cominciando dalla parte sud, quella che era separata dal fiume da una distesa di campi, dalla fossa, dal Fossetto, dai poggi alti e erbosi.
Elvira
La ricordo dritta con un grembiule davanti e le mani sui fianchi, forte, con un sorriso aperto, i capelli raccolti in una crocchia, autorevole e attenta alle cose e ai bambini che spesso giocavano nell'aia davanti alla sua casa e picchiavano la palla sul muro ripetutamente.Soltanto un periodo impediva ai bimbi di giocare, quello della malattia di suo marito Lorenzo, allora bisognava fare piano, ma questo si sapeva già dalle nostre mamme. Elvira veniva anche chiamata "la Fattora" per quel suo carattere forte e per abitare nella casa più grande della corte con un'aia dove veniva la macchina del grano. Tre belle figlie, Anna, Loda e Mariangela e un figlio che se ne andò in America e viveva alle pareti della stanza sul retro in un quadro che ne disegnava il bel viso: Alfonso. Alfonso si era fatto laggiù una famiglia e tardava a tornare, così Elvira, verso gli ottant'anni, decise che sarebbe andata lei a trovarlo e così prese l'aereo e si fece quel lungo viaggio. Essere capaci di prendere decisioni e seguirle con coraggio e senza tentennamenti: questo è l'insegnamento che ho avuto da Elvira.

giovedì 30 agosto 2012

Quelli che chiedevano l'elemosina
Non ne ricordo molti, forse uno, vecchio ma non malmesso, veniva verso mezzogiorno, l'ora di pranzo e non occorreva che bussasse, le porte erano aperte ma non entrava, forse veniva in giorni precisi del mese e se ne andava via col pane. Una volta Dantina diceva a mia madre: Gli ho dato il pane e non l'ha voluto, si vede che non ha fame. Non si davano soldi ai mendicanti anche perché non ce n'erano tanti e servivano per la vita di tutti i giorni ma il pane sì, e un bicchiere d'acqua non si negava a nessuno.

mercoledì 29 agosto 2012

Altri mosconi venivano generalmente in estate quando, la sera, tutta la corte si metteva fuori al fresco e le ragazze e le bambine sedevano sugli scalini delle porte di casa, sul murìcciolo, ascoltavano con un orecchio solo le storie di paura che raccontavano i più vecchi, giocavano per la strada sotto la luce dell'angolo tra via Vecchi Pardini e via Boboli oppure si riunivano in cerchi, a volte veramente molto grandi, generalmente nello spazio davanti alle case della Meri, di Edilia e di Dora e facevano un bello sculaccione. Naturalmente c'erano i mosconi altrimenti non c'era sugo solo con donne. Questi ragazzi venivano in bicicletta magari dopo una giornata di lavoro (dopo la quinta elementare tutti a lavorare) e potevano conoscere meglio, con sguardi, gesti e parole le ragazze grandi. Mi ricordo che le sculacciate dei ragazzi alle ragazze erano timide e leggere, pochissimi erano sguaiati anche perchè tutto il gioco si svolgeva sotto la supervisione delle mamme che poco lontano, anche se non lo davano a vedere, controllavano tutto.

martedì 28 agosto 2012

I "mosconi"
I mosconi sono insetti noiosi attirati da cibo, frutti, odori,  ma in corte Fibbiani erano quei ragazzi o giovani uomini ("giovinotti" diceva Fedora che chiamava così anche quelli che a me sembravano vecchi) attirati, appunto specialmente dalle ragazze che non mancavano. Venivano dalle corti vicine e anche da Lucca ma si potevano osservare anche mosconi più forestieri.
Quando sentivo dire "arrivano i mosconi" non è che capissi bene, d'altra parte i mosconi arrivavano per le più grandi non per quelle piccine, poi col tempo... Il primo moscone che mi ricordo veniva per Anna, la figlia di Fedora e si chiamava "Ti dirò". Mia madre diceva: "E' arrivato Tidirò" e si sentiva cantare. Cosa cantava quell'uomo si può quindi capire. "Ti dirò che tu mi piaci, ti dirò che nei tuoi baci...". Cominciavano gli urlatori. Anna qualche volta usciva, qualche volta no; poi si sposò con Orfeo e andarono in Svezia dove hanno avuto due figli. Anna vive sempre là, l'ho rivista al funerale di sua madre.

lunedì 27 agosto 2012

Minerva
Minerva veniva a ricamare a casa di Dantina che aveva lavoro di ricamo per le donne della corte. Era figlia di Clorinda, era magra, moretta, non bella nel senso tradizionale, simpatica, parlava velocemente quasi strascicasse le parole.
Le donne sedute a cerchio intorno al caldano sono una fotografia che è rimasta nella mia mente: il calore, la luce accesa nel mezzo della stanza, le voci delle donne che si raccontavano, le mani che si muovevano veloci con l'ago, le sfilature delle stoffe che si riempivano di fili a formare disegni bianchi e colorati su lenzuola e federe e tovaglie. Minerva non era sposata e ha avuto, come tutte, le sue tribolazioni. Mia madre e Dantina la conoscevano bene e spesso, anche se non c'era da ricamare, lei passava a trovarle.

venerdì 24 agosto 2012

L'ortolano
C'erano negozi di alimentari vicini alla corte nella zona di Musolino; ricordo che quando avevo sei, sette anni la mamma di Tecla, non ricordo il suo nome, avendo un orto, vendeva verdure su via del Tiro a Segno poi col tempo sua figlia aprì un vero e proprio negozio di alimentari. Ce n'era un altro poco distante, quello di due sorelle belle e simpatiche e mia madre andava quando in uno quando nell'altro perchè non voleva fare torto a nessuno. Però, dicevo nel titoletto, c'era anche l'ortolano che passava tutte le mattine o quasi dalla corte: un uomo giovane, non molto alto e cicciottello, con capelli mori a ciuffo sulla fronte e chiamava le donne che compravano frutta e verdura e l'ultima domanda era sempre: Li vuole gli odori? Sì, sì, e confezionava un mazzetto con una costola di sedano, una carota, un pò di basilico e prezzemolo che insieme alla cipolla sarebbero diventati uno sfritto per sugo o minestre di fagioli o sarebbero serviti per il brodo di carne. Non si sente più dire "gli odori" e gli ortolani, quando ci sono, si fermano al bordo delle strade più trafficate e vendono raramente verdure del proprio orto.

giovedì 23 agosto 2012

Quelli che nelle sere d'estate tornavano da Musolino accompagnati da moglie e, a volte, figlioli.
Che volete, la vita era dura anche se a noi bimbe non sembrava, e una sera (o più) a settimana gli uomini al bar s'inciuccavano, mica tutti però e mica sempre! Era un modo di sopravvivere a una vita di fatica e poche soddisfazioni e il vino serviva a sgombrare la mente e a portare lontane, per un poco le difficoltà. Ma mentre l'andata verso il bar era agevole, il ritorno, col buio, poche luci, fosse e fossette non lo era altrettanto. La moglie, perciò,  per evitare spiacevoli conseguenze, verso una certa ora si recava verso il bar a riprendere il marito e lo teneva sottobraccio magari aiutata da un figlio ricevendo in cambio parolacce e moccoli che anche noi, sedute a contar le stelle, sentivamo.

mercoledì 22 agosto 2012

Il Moro
Dava un'impressione di forza e vitalità, era moro di capelli e di pelle, abbronzato per il continuo lavoro nei campi che erano tanti e vasti. A torso nudo, muscoloso e snello passava col suo trattore, quasi tutt'uno con quel rumoroso macchinario a volte provvisto di botte nella quale trasportava perugino da spargere nei campi, era sempre sorridente, non mi ricordo fosse uomo di tante parole ma sembrava contento del suo lavoro faticoso. Stava al Magro, in una bella corte abitata quasi tutta o tutta da persone della sua famiglia. Ora, a nord di quell'abitato hanno da tempo costruito un gruppo consistente di case, alte che levano la visione dei campi e delle pioppete del fiume. L'hanno chiamato Ai Magri, chissà perché, io sapevo che di magri ce n'era uno solo. Contadini ne erano già rimasti pochi e vecchi, il Moro era giovane, esprimeva la potenza del lavoro fisico, l'unico altro uomo che lo poteva somigliare era Leonetto.

martedì 21 agosto 2012

La vecchina dell'aceto
Sarà esistita? Eppure veniva nominata spesso. Quando si vedeva una donna piccola, secca, con un fazzolettone in testa a coprire i capelli si sentiva dire: Sembra la vecchina dell'aceto. E anche quando una donna si trascurava e appariva dimessa e un pò triste si usava quall'espressione. Io l'ho vista una volta la vecchina dell'aceto, un donnino magro che era venuta a vendere mazzetti di finocchio selvatico (si usava principalmente per la zuppa e per i deliziosi fegatelli di maiale e nei nostri campi di pianura non si trovava) ma non vendeva aceto. Forse tempo prima l'aveva venduto ma ormai avevamo tutti la madre dell'aceto e in cucina non ne mancava mai un fiasco.

lunedì 20 agosto 2012

O donne, o donne, io son Renatino, la prima fermata la feci a Torino...
Come in un sogno rivedo la scena e la descrivo.
E' il crepuscolo di una sera di estate, il sole è calato ma il suo chiarore rosa ancora permette di vedere, siamo a cena e le luci sono accese, ero certo molto piccola, scendo le scale, penso con mia madre e i miei fratelli, perchè si sente chiamare, salutare, voci che si rincorrono: davanti alla casa di Matilde c'è una luce accesa e tanta gente che saluta Renatino, non ricordo altro che il suo nome e il calore da cui era circondato, non ho visto il suo volto né la sua figura ma ero contenta della gioia che vedevo intorno a lui. Più tardi ho sentito parlare dei Cantastorie ma io non ho avuto l'onore di ascoltarli cantare da piccola, erano ormai fuori tempo.

domenica 19 agosto 2012

Quello della luce
Periodicamente veniva nella corte un uomo ben vestito con un quaderno o registro e entrava nelle case per leggere il contatore. Era quello della luce. La luce elettrica serviva soltanto per illuminare le case ed era fornita da società che si chiamavano Ligure, Valdarno, a me sembrava di sentire spesso dire La Ligure ma non ci stavo tanto dietro. Avevamo nelle case impianti elettrici con fili esterni ed altri aggeggi e degli interruttori a farfalla che si giravano e ti davano il più delle volte la scossa. Specialmente l'interruttore delle scale che preferivo fare di corsa al buio piuttosto che fulminarmi. La luce andava via quasi ogni volta che veniva un temporale e prima di tornare ci metteva del tempo. Se era sera si usavano candele e a me piaceva cenare a lume di candela. Mia madre diceva: La bocca la troverete!. Poi venne l'Enel e ci portò via il campo di grano coi fiordalisi e i papaveri, ci lasciò a dire il vero mucchi di paloni in cemento da salire e scendere e vecchie strutture in ferro arrugginito sulle quali facevamo giravolte, bimbi e bimbe insieme.

sabato 18 agosto 2012

Cenciaio, pellaio....donne!
Passavano anche queste persone, almeno fino a un certo periodo, poi chi volete lasciasse le pelli di coniglio ad asciugare sulle facciate delle case? Io in corte ne ho viste proprio poche ma verso Pannero sì; si vede che là avevano molti conigli.Mi ricordo solo che erano uomini, come si diceva, di una certa età, ma per i bambini i non bambini sono vecchi. Certamente si riutilizzava tutto, non c'era in giro spazzatura nè resti di verdura, andava tutto sul mucchio del pattume di chi aveva un orto o nei pollai di chi aveva galline, il cibo si utilizzava tutto, non ne restava... ma che bellezza!

venerdì 10 agosto 2012

Cugine e cugini
E logicamente con gli zii arrivavano i cugini (non così numerosi per fortuna). Erano anch'essi preziosi, li portavi a giocare e se lo facevano bene potevi vantartene " è mio cugino", "è mia cugina". Se veniva da lontano, e lontano voleva dire oltre Lucca, era una cosa quasi esotica e ti poteva insegnare nuove conte, altri giochi, canzoncine mai sentite. Mi ricordo il fascino di una cugina di Laurina di Nazarena, credo venisse da Coselli, era forse un pò più grande, giocava con noi con la palla contro il muro di Elvira e recitava altre parole, poi ci insegnò a cantare una canzone che diceva così: " Tutti mi dicon Mario ma son Marino, vivo di poesia? e son sincero, ho combattuto tanto sul Monte Bianco per liberar la patria..." continuava poi con la sua bella che l'aveva tradito con un tenentino e concludeva con l'uccisione, mi sembra, di ambedue i traditori. Non ci chiedevamo che battaglie ci fossero state sul Monte Bianco ma cantammo spesso questa canzone che introduceva nel nostro immaginario l'amore e la morte. Insomma i cugini ci aggiungevano interesse e noi ne tenevamo cura.

giovedì 9 agosto 2012

Zie e zii
Ma quanti zii avevamo una volta, e di quale importanza! Le famiglie dei padri e delle madri erano numerose e dovunque ti giravi sentivi la parola zia o zio. Alcune di noi avevano questi preziosi parenti in corte, altre in corti vicine o in altri posti d'Italia, perfino in America. Gli zii ti tenevano a battesimo, ti regalavano catenine d'oro, braccialetti di corallo, anellini con acquamarina, qualcuno ti poteva regalare la cassettina dove mettere soldini da depositare in banca, ti venivano a trovare e tu andavi a trovarli, a volte a mangiare da loro, e com'era buono il cibo solamente un pò diverso da quello di casa tua! Insomma le zie e gli zii erano presenti nella vita dei nipoti e i nipoti lo sentivano, sentivano l'occhio buono su di loro, un occhio meno rigido, a volte, di quello dei genitori. Poi, certo c'erano quelli preferiti, anche se non lo si sarebbe mai riconosciuto, e quelli, quelli ci hanno aiutato a crescere.

mercoledì 8 agosto 2012

I contadini di Pistelloni
Pistelloni era ed è ancora una corte che si raggiungeva dalla via Vecchi Pardini e anche dai campi dietro le case di Fibbiani andando verso ovest. Una corte isolata, a me sembrava lontana e un pò misteriosa. Lì abitavano tanti contadini che producevano verdure di vario tipo e le portavano al mercato a Lucca. Così, d'estate, per raggiungere la città, dovevano per forza passare dalla nostra corte coi barrocci, tre, quattro? non li ho mai contati. Era di notte, quando passavano, si sentiva limpido il rumore dei passi dei cavalli e delle ruote che giravano sulla strada sterrata, un rumore che non mi disturbava anche se già ero a letto. La mia camerina aveva una finestra che dava proprio sulla strada e allora qualche volta mi affacciavo nel buio completo della notte e vedevo le luci delle lampade che illuminavano il retro dei barrocci. Percepivo le voci basse e discrete delle persone che li guidavano, era bello quel parlarsi nel buio. Tornavo a letto e mi addormentavo.

lunedì 6 agosto 2012

Lo zio Oreste
Veniva in corte tutte le domeniche con la sua Lambretta, piano piano, generalmente vicino all'ora di pranzo, a portare L'Unità. Diceva che la Lambretta era più comoda per metterci il borsone dei giornali, si fermava pochi minuti dalle famiglie che compravano il giornale e continuava il suo giro. Non era molto alto, pochi capelli e ben piazzato, un viso aperto e tranquillo, sempre pronto a parlar di politica che era una storia di famiglia. Abitava in corte Pardini con la moglie Bruna e ebbero quattro figlie, un pò si disperava per il cognome che non si sarebbe mantenuto attraverso le figlie. Raccontava volentieri episodi della guerra e della resistenza e si lasciava scappare di aver rotto qualche naso nei mesi successivi al 23 aprile 1945, con un sorrisino di soddisfazione. Era fratello di mio padre ed è stato per me una persona insostituibile.

domenica 5 agosto 2012

Il postino
Non veniva tutti i giorni il postino, con la sua bella bicicletta e con la sua divisa che prevedeva anche un cappellino. Quando arrivava, le donne si avvicinavano e chiedevano. specialmente verso Natale e Pasqua. Allora arrivavano notizie dall'America e con le lettere i dollari dei parenti lontani. Nella corte quasi tutte le famiglie avevano figli, fratelli, sorelle, zii, cugini che erano andati là, in America, si diceva, come se fosse un unico paese, a lavorare e non erano tornati formandosi famiglie proprie ma restando attaccati ai parenti italiani. Non erano certo andati "a scuoter gli alberi", avevano lavorato sodo e ora, nel dopoguerra, mandavano dollari in occasione delle feste.E per parecchi anni mandavano i pacchi. "M'è arrivato il pacco?". Nel pacco stoffe colorate e vestiti confezionati per donna uomo e bambini, di uno stile poco consueto ma le sarte sapevano aggiustarli o rifarli da capo, la stoffa era buona, i colori un pò troppo celestini, rosati, verde acqua e giallini, le fantasie poco fantasiose. Le lettere e gli assegni erano contenuti in buste leggere bianche con gli angoli colorati di strisce blu e rosse e arrivavano, meraviglia di noi bambini,  per posta aerea. Il postino era contento anche lui quando recapitava lettere dall'America e chiamava le donne a raccolta. A volte ritornava anche il pomeriggio per contentarle e loro gli donavano una piccola mancia. Rimase per tanti anni lo stesso, le donne si erano abituate e se qualche volta ritardava si preoccupavano: Oddio, non avranno mica cambiato il postino?

sabato 4 agosto 2012

Fedora
Oh, Fedora, mia bella Fedora...cantava anche nell'ultimo anno della sua lunga vita, se qualcuno gliela chiedeva. Era una canzone, forse una romanza?, dei suoi tempi e ci ritrovava, forse, la sua gioventù.
Fedora si potrebbe considerare di Fibbiani ma abitava in un'altro posto che si chiamava Pannero; si chiamava, perché da molti anni non esiste più, spodestato da casermoni che hanno tolto uno stradello circondato da viti, una corticina con due case e una grande capanna, un pollaio circondato da una rete dove si arrampicava il fiore della passione. Lì abitava Fedora col marito che non ho conosciuto e con tre figlie, Liana e le due gemelle Giuliana e Anna. Fedora la ricordo con un viso aperto, sorridente con gli occhi, una pelle colorata dal sole, una voce particolare e acuta come oggi non si sente più, una speciale fantasia nel creare colorate e delicate imprecazioni. Era una donna indipendente, forse aveva dovuto diventarlo, come tante che avevano perso presto il marito, passato gli anni della guerra, lavorato nei campi. Fedora veniva in corte Fibbiani a trovare la sorella Dantina e a coltivare un bell'orto.A volte se non poteva venire e c'era qualche comunicazione da fare Fedora chiamava la sorella da Pannero e modulava le frasi, Dantina rispondeva da Fibbiani.

venerdì 3 agosto 2012

Il merciaino
Prima, quand'ero molto piccola, c'era stato Gennarino, poi arrivò il merciaino, si vede che in corte garbavano i diminutivi. La stoffa serviva per tovaglie e vestiti in particolare. Tutte le donne avevano in casa la Singer o la Necchi e cucivano o riparavano pantaloni e gonne ma per i lavori più importanti, per i vestiti buoni, i capini, le giacche, i cappotti si ricorreva alle sarte o ai sarti che certo non mancavano. Il furgone piccolo era pieno di rotoli di stoffa di vari materiali e colori e che buon odore si sentiva! Le donne sceglievano la stoffa e la stendevano e tiravano con le mani per sentirne la consistenza, il merciaino la misurava con un metro fisso attaccato al bancone, la piegava e la consegnava. In genere il pagamento avveniva in più volte fino al saldo. Il merciaino era un uomo distinto, ben vestito e molto cortese, con una voce pacata, ascoltava le donne e si faceva un vanto di servirle bene. Dopo qualche anno il furgone diventò più grande e allora portava anche roba confezionata, del resto le donne avevano quasi smesso di cucire, tanto trovavano tutto già fatto nei negozi di Lucca. E poi anche il merciaino aprì un bel negozio sulla Sarzanese e non si vide più.

giovedì 2 agosto 2012

Clorinda.
Quasi sempre di sfuggita, quasi sempre da Dantina, arrivava questa  figurina, magra, capelli bianchi, vestita di nero, un viso quasi sfocato, voce sottile e veloce. Passava di lì e veniva a cercare la figlia Minerva che ricamava federe e lenzuola nella casa di Dantina.Non so quanti anni avesse, per noi era vecchia, ma l'ho vista lavorare di lena in corte, sotto il sole, seduta col suo strumento di lavoro, strano e antico, con un braccio rotondo provvisto di spunzoni e che si muoveva avanti indietro sfacendo boccoli di lana giallastra. Era la lana che riempiva i nostri materassi (ce n'erano sempre fatti di "vegetale") e che periodicamente veniva arieggiata, lavata e resa soffice da quello strumento oppure se era poca (quella contenuta in un guanciale) anche a mano. Un' immagine, quella di Clorinda al lavoro, rimasta nei miei occhi come la fotografia di un tempo lontanissimo, silenzioso e già perduto allora.

mercoledì 1 agosto 2012

Persone.
Voglio iniziare da quelle che nella corte non abitavano ma che la frequentavano per varie ragioni.
Inizio da Boccio.
Boccio era imbianchino, dietro alla bicicletta aveva un carrettino sul quale teneva le varie tinte e quei piccoli rulli di gomma lavorata provvisti di un manico che faceva girare su e giù per decorare con fiori e disegni di ogni genere le pareti delle case. Aveva anche altri ferri del mestiere ma non saprei elencarli. Veniva nelle case in estate e rinfrescava le stanze con i suoi colori tenui. La novità di avere in casa per tutto il giorno l'imbianchino ci rendeva curiosi e Boccio era sorridente e parlava coi bimbi quindi spesso eravamo tra i suoi piedi; così, per mandarci fuori a giocare, ci raccontava che la giornata era molto calda e dovevamo andare in farmacia a comprargli un pò d'ombra di campanile oppure ci diceva di averci trovato un lavoro in Africa: raddrizzare le banane. Ero stupita di queste parole che non sapevo se credere o no ma il risultato era che uscivamo di casa. Era merce rara l'ironia e i bimbi l'apprezzavano confusamente come qualcosa di fantastico.
Un anno ricordo che entrò in casa dicendo: Mah, pullover, barattoli, uomini vivi, uomini morti... e si riferiva alle canzoni che cominciavano a essere in voga al posto di quelle, diciamo così, tradizionali. E lo diceva come se, in effetti, quasi quasi apprezzasse il cambiamento. Boccio era un uomo alto, moro, un viso aperto e cordiale, simpatico. Che il suo nome era Umberto l'ho saputo dalla sua tomba.