martedì 31 luglio 2012

In autunno iniziava anche la scuola e si vendemmiava o si era già fatto (uva di pianura, ma utilizzata lo stesso per un vino asprino che con l'acqua era ottimo per i bambini, il sapore aspro era quello preferito dai bimbi, frutta acerba, erba aceta, per me perfino l'aceto a garganella era buono, bevuto dal fiasco sotto l'acquaio!). Quindi gli odori diventavano quelli della scuola, la carta dei quaderni e dei libri, quella assorbente, l'inchiostro, il cuoio delle cartelle, il gesso e la cimosa, e anche quelli della pioggia (che profumo aveva la corte dopo le prime piogge, la terra ci buttava nel naso il suo odore), delle mantelline per ripararsi, degli "sciantillì" scomodi e freddi e quelli dell'uva che da qualche parte bolliva.

domenica 29 luglio 2012

Nei primi giorni d' autunno c'erano funghi buoni nelle pioppete del fiume, morecci li chiamavano, ma anche i pioppini che erano la mia passione. Si friggevavano i morecci o si facevano in umido (meglio i pioppini) e poi si mangiavano con la polenta di farina gialla nuova. Questi profumi si spargevano nella corte dalle finestre delle cucine, ancora per diverse ore aperte; noi vivevamo tra gli odori del cibo e mangiavamo quello che c'era in tavola. Beh, quasi tutto. Più avanti nell'autunno arrivava la farina di neccio che si mangiava anche a cucchiaiate o cotta negli anelli per cucito e per tutti c'erano le frittelle con la ricotta, i necci, la polenta che veniva cotta in un grosso paiolo sulla stufa economica facendole piano piano prendere acqua da un buco nel mezzo alla farina buttata tutta insieme e girata con il "mestone", un piccolo palo di legno che veniva usato da chi aveva forza sufficiente (perciò si aspettava che tornasse mio padre dal lavoro).La polenta di neccio veniva poi tagliata a fette abbastanza spesse servendosi di un lungo e resistente spago e gustata, in genere, con ricotta.

sabato 28 luglio 2012

Durante le feste poi insuperabili erano gli odori dei tortelli, anche quando si stavano preparando: un diluvio di odori, di pane, di carni, prezzemolo, aglio, pinoli, farina bagnata, uova e le esotiche cannella e noce moscata; e le torte coi becchi? di erba, di cioccolata, di amaretti (non mi è mai piaciuta, troppo dolce). A volte, quando c'erano  uova da utilizzare venivano preparati quegli insuperabili dolci casalinghi semplicissimi che venivano cotti in una specie di fornetto rotondo messo sulla fiamma del gas. Veniva fuori una ciambellona profumata che si finiva in un attimo (si doveva aspettare che ghiacciasse pena mal di pancia, ma che tortura l'attesa).

venerdì 27 luglio 2012

Non veniva tirato via niente: il lesso rimasto veniva tritato col coltello e con un pò di pane ammollato, prezzemolo e aglio diventava impasto per prelibate polpette che, se avanzavano, ma accadeva di rado, venivano messe in un sughetto di pomodoro e cipolle insieme ai capperi (in questo modo si riutilizzavano anche le striscine impanate e fritte). Piatti da regine che andavano all'acquaio ripuliti perfettamente col pane.

giovedì 26 luglio 2012

Gli odori della corte cambiavano a seconda della stagione e anche delle ore della giornata. In estate dalle finestre aperte si spandevano gli odori dei cibi cucinati ed erano diversi ogni giorno della settimana e dell'ora del giorno: verso mezzogiorno odore di minestrine in brodo, di minestroni, zuppe, frittate o uova affrittellate, sughi di pomodoro, pesce lessato, fritto o baccalà in umido (il venerdì); la sera prevaleva l'odore dei cosiddetti "tegami", un modo geniale e gustoso di cucinare le verdure utilizzando poca carne e così c'erano i tegami di carciofi, di cardoni, di barbe di prete, di stringhe e fagioli schiaccioni ma si sentiva anche odore di latte che si usava spesso anche la sera. La domenica era riservata al sugo, anche quello un modo di utilizzare al meglio un pezzodi carne estraendone quasi tutto il succo e tritando poi finemente quanto rimasto: un odore a  volte un pò dolciastro che non amavo quanto il sapore; poi il divino odore del fritto, di coniglio, di pollo, di zucchine.

martedì 24 luglio 2012

Le bimbe erano certo più brave nei giochi con la corda anche quando la corda non era individuale e non girava attorno al tuo corpo. Era una corda lunga tenuta da due bimbe che la facevano girare ritmicamente e non molto velocemente: una fila di bambine aspettava il momento in cui la corda arrivava più in alto e con una corsa vi passava di sotto: ci voleva un certo coraggio perchè la corda era grossa e pesante e se ti toccava il dolore era assicurato; si esitava a lungo guardando attente il suo giro e poi...via, a volte ad occhi chiusi. Chi faceva girare la corda veniva scelto di pari altezza e forza in modo da non causare oscillazioni alla corda e difficoltà danni a chi vi passava sotto.
Un gioco che ci rendeva agili e precise era il Mondo. Noi lo chiamavamo così, il Mondo, so che qualcuno lo chiama Campana. Disegnavamo sull'aia di Elvira, con pezzi di mattone rosso un rettangolo grande e si divideva in due parti uguali con una riga tracciata per il lungo, poi altre quattro righe orizzontali formavano una rete di dieci rettangoli che si numeravano dal 10 al cento o dall'1 al 10. Fatta la conta per decidere le partenze e dopo aver scelto le piastrelle da tirare e trascinare col piede si iniziava il gioco: con la mano si gettava la piastrella nel primo rettangolo (10) e a gamba zoppa si entrava dandole col piede una piccola spinta per avviarla al secondo rettangolo e così via. Il gioco era complesso e prevedeva varie procedure. Dovevi stare su un piede, utilizzarlo al meglio, non pestare le righe e ti potevi riposare al 50...Facevamo spesso questo gioco, qualche volta partecipavano anche i maschi, ma non c'era storia, le bimbe erano più brave.

lunedì 23 luglio 2012

A scuola ci facevano ripetere a memoria poesie e questo a me piaceva, avevo memoria visiva, quando recitavo vedevo la pagina del libro, e poi le poesie erano belle, con parole chiare e comprensibili, quasi sempre illustrate (e i nostri libri di lettura erano avari di disegni e privi di fotografie), insomma per me era un gioco impararle a mente e questa abilità portò anche a una costrizione che mi imbarazzava: ritta su una sedia dovevo recitare"La cavallina storna"al compleanno di Bernardetta e dire che quella poesia aveva termini difficili ed era lunga. Anche le preghiere che imparavamo in famiglia e in chiesa erano apprese esclusivamente a memoria senza nessuna spiegazione del significato, e la lingua delle preghiere, ricordo, era ancora il latino.

domenica 22 luglio 2012

Anche la musica ci piaceva, oddio le canzoni a dir il vero, le canzoni che cantavano le donne mentre facevano le faccende con le finestre aperte, canzoni dei primi Sanremo. Vieni, c'è una casa nel bosco... Buongiorno Giuliana, buongiorno piccina...e altre che imparavamo in parrocchia. Ma eravamo preparate e intonate per il continuo ripetere filastrocche, conte per i giochi, giochi di movimento che prevedevano rime o parole sillabate, ritmate. Uno, senza muovermi, senza ridere, con un piede, con una mano, a picchietto, davanti e dietro, barauffite, patatine! e la palla rimbalzava sul muro lanciata più o meno veloce a seconda dell'azione da fare. E Giro giro tondo, il pane dentro al forno, un mazzo di viole, le do a chi le vuole, le vuole la ...ina, casca in terra la più piccina! E Guarda lì quella vecchiona, che non vuole mai giocare, e per prima penitenza in ginocchio deve stare...

sabato 21 luglio 2012

Di cinema ce n'erano tanti in città ma mica c'era l'abitudine, in corte, di portarci i bambini e anche i films non erano adatti. Però venne il periodo di Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson e le mamme volevano vedere quei films. Catene, Tormento e altri titoli strappalacrime che univano l'amore al dolore, come i fotoromanzi. I padri non sarebbero mai andati a vedere quei films e le mamme dovevano quindi trascinarsi dietro i figli. Non ricordo bene il titolo ( forse I figli del peccato?) ma io l'ho dovuto vedere dall'inizio alla fine, avevo sei-sette anni, e per tutto il tempo quel grosso schermo mi rimandò immagini tragiche che comunque sopportai a volte chiudendo gli occhi. Poi finì e uscimmo fuori dal cinema, il Nazionale, pochi scalini e davanti mi si presenta la locandina del film con fuoco e fiamme sull'orfanotrofio: scoppiai in un pianto fortissimo che mia madre non poteva calmare e che durò fino al posteggio di biciclette della mia zia Viola, lei riuscì a consolarmi ma i singulti durarono fino a casa.

venerdì 20 luglio 2012

Ma la domenica avevamo anche il cinema, quello parrocchiale che nel pomeriggio dopo la dottrina e il Vespro proiettava films per ragazzi (?). Mi ricordo di aver visto Casta Diva senza capire nulla e soprattutto un film su Maria Goretti del quale conservo qualche scena (un paesaggio cupo, con una casa grande e soprattutto con una bella scalinata per arrivare alla cucina) ma non capivo niente neanche di quello. Era bello però essere tutti bambini e bambine più o meno grandicelli in un ambiente buio e soprattutto comprare bibite o noccioline dalle beate che passavano nell'intervallo. Un tardo pomeriggio insolitamente mio padre mi venne a prendere prima che il film fosse finito: io andai via tranquilla. Un grave incidente di moto aveva ucciso un lontano parente e ferito un cugino.

giovedì 19 luglio 2012

Oh, dopo tre giorni di guasto linea telefonica posso tornare a scrivere qualcosa.
La televisione: la cosa che ci ha salvato era la sua assenza. In corte è arrivata tardi e pochi la comprarono ma cominciarono alcuni programmi che le persone volevano vedere; ad esempio Lascia o Raddoppia con Mike Bongiorno. Mi ricordo che (era di giovedì?) in tanti andavamo in un bar (da Ada?) che era provvisto di una grande sala, in fondo un televisore molto in alto, ai lati tante file di sedie appiccicate dove si sedeva a guardare lo spettacolo consumando gelati, caffè, corretti, bibite, io non vedevo l'ora di uscire. Poi si andava anche a casa del Gigliucci a vedere il Festival della canzone napoletana: lui era patito di Sergio Bruni. Si ascoltava qualche volta la radio: ce n'era una in casa dei Lenzi molto grossa e con una lucina blu dalla quale pensavo uscissero le parole. In genere però le trasmissioni erano fatte per adulti e quindi poco interessanti: quando c'era il giornale radio mio padre voleva il silenzio assoluto.

lunedì 16 luglio 2012

Ieri, 15 luglio 2012,  giorni passati si sono ricreati in " Una giornata al fiume..". Eravamo tanti ma non tutti e, diciamo la verità, corte Fibbiani ha brillato ancora. Purtroppo il nostro rasaio non c'è più ma abbiamo trovato un posto discretamente simile e lì i canti, le risate, gli spruzzi e l'immersione nell'acqua vestite di camicioni, sottovesti e munite ai piedi di moderne scarpette antiscivolo (la belletta è terribile) abbiamo ritrovato lo stupore di un tempo. Vuol dire che lo abbiamo conservato e, se vogliamo, lo facciamo ancora brillare nei nostri occhi. Poi una merenda fastosa con acciughe marinate, frittate, panzanella, coniglio fritto e polpette (grazie Lucia Rosa), acqua fatta con Idrolitina, vino buono, dolci, cantuccini e vin santo e perfino caffè. Scordo il cocomero che Pierino ha distribuito a tutti (eravamo tanti, ve l'assicuro) ma Liana ha tenuto a ripetere che il cocomero deve avere una certa grandezza per essere buono, non per criticare ma, ha detto una signora, per dare un insegnamento. C'è stata perfino la sfilata delle donne in camicioni e sottovesti e una giuria ha votato, premi per tutte: marmellate, sciarpine, peperoncino in vasetti, centrini ricamati a mano. Siamo tornate a casa non stanche e felici. Più che le parole saranno le immagini che vedrete appena il mio tecnico-marito tornerà a casa. Le dedico alle donne di Fibbiani, naturalmente, ma anche a tutte le persone, donne e uomini di razza, che hanno condiviso con noi cibo per il corpo e per lo spirito e a tutti quelli che non c'erano...ed hanno perso tre anni di vita.

sabato 14 luglio 2012

La morte era parte della vita, si moriva nella casa dove si era vissuti e nel nostro letto. Chi moriva vecchio "il suo pane l'aveva mangiato". Per i giovani la cosa era più complicata e il lutto più lungo ma  "chi muore tace, chi vive si dà pace" era un motto consolatorio e positivo. Il lutto era evidente dai vestiti neri delle donne e dalle strisce sempre nere che gli uomini portavano alle maniche di giacche o cappotti, ricordo anche dei bottoncini neri. Delle persone avanti negli anni o anche per quelle "noiose" veniva detto: Eh, quello campa cent'anni e "mòre se "ni" pare.

venerdì 13 luglio 2012

La seconda era una giovane donna che abitava in una villetta di via Boboli. Mi ricordo molta gente che entrava in quella casa per vedere la ragazza e anche noi della corte andammo. Una bella addormentata tutta vestita di rosa e nessun principe azzurro la svegliò.

giovedì 12 luglio 2012

E così anche il rapporto con la morte era naturale. Ai funerali si partecipava tutti e spesso si andava nelle case a vedere i morti e a salutare la famiglia. Se morivano bambini, poi, o persone giovani era quasi un obbligo. Ne ricordo in particolare due di queste esperienze. La prima resta quasi sospesa nella mente come un sogno; ero molto piccola e non ricordo il nome di quella bambina ma ricordo la stanza dove fui portata a vederla, ancora, se sapessi, potrei dipingere la scena: non era la mia corte ma un posto di là dallo stradone, la porta d'ingresso era a ovest (il sole ci batteva ed era pomeriggio), sulla sinistra, in un letto, non ricordo che ci fosse una bara, c'era una bambina sotto le coperte che sembrava dormire ma si sentiva quasi odore di dolore e mia madre abbracciò una donna e ci parlò.

mercoledì 11 luglio 2012

Il camposanto era il camposanto, non il cimitero. A piedi, arrivati in corte Lenzi, si prendeva una redola ampia contornata da cipressi e si sbucava  proprio quasi davanti al cancello. (Una redola si percorreva anche per andare alla chiesa passando da via del Tiro a Segno ma dove sono andate le redole? Redola è  un termine bellissimo e antico di quando tutti andavano a piedi e anche noi della corte abbiamo avuto il privilegio di nominarlo). Dicevo del camposanto: fin da piccolissima mia madre mi ci portava a trovare i suoi genitori e spesso; lei puliva la tomba e metteva fiori freschi, io seduta su qualche altra tomba facevo merenda o curiosavo e quando fui in grado leggevo i nomi sulle lapidi. Conoscevo la statua di quella bambina investita sullo stradone appena uscita da un cancello e quella di Bartalino, con la sua biciclettina. Dopo i nonni e le "Requiemeterne", ci passavo sempre prima di uscire.

martedì 10 luglio 2012

Giulia, Felicina, Lella, Lea, Maria, Lauretta, ma mi dimentico il nome della più bella, erano donne che si occupavano della chiesa e delle attività che vi si svolgevano, alcune avevano anche un lavoro vero, erano maestre. La mia preferita era Lella e so che la preferivano in tante: allegra, sorridente, accogliente con le bimbe e mi piaceva anche Felicina. C'erano anche loro alle gite parrocchiali e al ricreatorio del sabato e ci insegnavano giochi e canzoncine. Lella a quel tempo abitava in corte Lenzi, abbastanza vicino a Fibbiani e una mattina passando di lì seduta dietro la bicicletta di mia madre (andavamo di certo al camposanto) vidi lei e la sorella che si erano lavate i capelli e, sedute al sole nella corte, se li spazzolavano; una cascata di capelli lunghissimi che non avrei sospettato abituata alla crocchia che portava sulla nuca. Queste donne venivano chiamate "le beate" .

lunedì 9 luglio 2012

La domenica si andava alla messa, alla dottrina, al vespro e al cinema parrocchiale: avevamo un percorso ben stabilito. Da piccolina nel primo pomeriggio mi accompagnava alla dottrina mio padre sulla canna della bicicletta e durante il percorso mi parlava (ricordo che una domenica mi raccontava con emozione che intorno al mondo stava girando una navicella spaziale, lo Sputnik, lanciata dall'Unione Sovietica). Metteva la bicicletta davanti al bar "Carubi" (si diceva così) mi prendeva per la mano e mi aiutava ad attraversare lo Stradone fino al sagrato della chiesa. Lì mi lasciava andare in chiesa ma lui non entrava. Si imparavano a memoria le risposte a domande scritte: Chi ci ha creato? - Ci ha creato Dio.- Chi è Dio? - Dio è l'essere perfettissimo creatore e signore del cielo e della terra. - e così via. Nella chiesa venivano spostate le panche e si formavano tanti gruppi di varie età e comunque rimaneva un certo silenzio e le voci non si sopraffacevano. Le maestre di dottrina erano le beate.

domenica 8 luglio 2012

E c'erano tanti proverbi e modi di dire quasi per ogni avvenimento ma quello che concludeva le conversazioni tra le donne, sia di accadimenti positivi che negativi era: Eh, la vita è una ruota! Mica lo capivo ciò che significava mentre era più comprensibile: Oggi a te, domani a me.
Questi due erano, come dire, i concetti universali; c'erano poi espressioni in parte non comprensibili che giravano nelle bocche degli abitanti della corte. Eccone un elenco parziale che spero sarà accresciuto da altri:
"Gira, gira nuvolo, S.Ranieri è scoperto"." C'è scritto venti, non è ciccia per i tuoi denti". "Chi è bella sempre 'un è bella mai". "Per belle apparire bisogna soffrire". "L'acqua cheta non mena ciocchi ma quando li mena li mena grossi". "E' una madonnina attaccata al muro". "Chi in gioventù 'un fa i suoi atti, in vecchiaia fa cose da matti". "Moglie e marito si fa in una sera ma quando è fatta l'è lunga la tela". "Dio li fa è poi l'accoppia".....

sabato 7 luglio 2012

Ma mi raccontava anche della guerra che era passata da non molti anni, di quando i tedeschi occupanti portavano via bestie e biciclette e allora tutti rendevano le bici come catorci togliendo fascioni e gomme e ricoprivano le ruote con cenci (le era rimasto impresso un tedesco che l'aveva fermata e aveva messo la ruota della bicicletta tra le gambe ma poi un altro tedesco l'aveva lasciata andare e quando avevano portato via il miccio a un uomo che conosceva). Le paure dei bombardamenti (allora abitavano in corte Puccetto e accanto c'era la ferrovia) e il rifugio che avevano scavato per difendersi, la difficoltà nel trovare il cibo e i chilometri che bisognava fare per procurarselo ma anche la gioia nel trovare il grano che macinarono nei macinini del caffè insieme a quelli della corte, che poi ci fecero i maccheroni più buoni che avessero mai mangiato. Tutto questo la scuola non ce lo insegnava.

venerdì 6 luglio 2012

La classe era tutta di bambine, eravamo un bel numero, non si poteva giocare insieme e quasi nemmeno parlarci, i cognomi li imparavamo dall'appello e anche l'ordine alfabetico. I libri erano interessanti anche se con parole sconosciute (mi ricordo un pezzo del libro di lettura che parlava del tifo, quello sportivo; per me il tifo era una malattia: Lavati le mani che prendi il tifo! dicevano e non potevo associare quella parola a una partita di calcio.) Ma molto migliori erano i racconti e le novelle che sentivo in corte. Mia madre poi, specie d'inverno o quando eravamo malati ci raccontava L'Indoraculi, l'Argentaculi oppure la storia di quel principe che voleva una moglie che non facesse pipì e popò oppure quella dei tre cani, uno si chiamava Frugapertutto, per gli altri devo sentire mio fratello, che aiutavano il padrone nelle circostanze più orribili. Ah, Spaccaferro e Spaccamontagne.

giovedì 5 luglio 2012

La cosa più bella, almeno per me, era che la scuola d'estate non c'era e ricominciava solo il primo di ottobre e non c'erano compiti delle vacanze! La scuola era separata dalla vita di tutti i giorni, dai campi, dagli alberi, dalle persone, era un altro luogo, freddo e da sopportare con pazienza rispettando le regole e stando ferme in quei banchi di legno contenitivi, non potevi vedere fuori dai finestroni alti e di rado scendevi in giardino. Ne ho ricordi di scuola ma non sono paragonabili in quantità e in qualità a quelli della vita della corte, non ne hanno la ricchezza e il valore.

mercoledì 4 luglio 2012

L'estate erano anche parole: solleone, canicola, sole che spacca le pietre. Della prima volta che ho sentito quest'ultima frase ho un ricordo preciso: passava il giro d'Italia dallo Stradone e tutti gli appassionati di ciclismo della corte si recavano nel punto dove avrebbero potuto vedere Coppi e gli altri. Non saprei indicare un anno preciso, ero molto piccola ma mio padre mi ci portò, proprio in cima a via Boboli, dov'era il bar del Colombini. Era una giornata molto calda e dovevano essere le prime ore del pomeriggio, per la strada tante persone che parlavano e mio padre disse quella frase che mi suonò strana: C'è un sole che spacca le pietre. Poi dallo Stradone sentii un grosso fruscìo e vidi passarmi davanti, colorati e quasi appannati dalla velocità un enorme gruppo di ciclisti, fu un attimo ed era tutto finito.

martedì 3 luglio 2012

Verso sera tornava a casa anche Ravero, con il suo carrettino attaccato alla bicicletta e quasi sempre si fermava a parlare con qualcuno che lo interpellava sul tempo. "Ravero domani che farà?" E lui quasi soddisfatto della stessa domanda bagnava l'indice in bocca e lo volgeva al cielo, poi lo scrutava e prevedeva sole o nuvole. Era sempre vestito con calzoni e giacche di tipo militare e portava un cappellino in testa. Lo ricordo sorridente e quasi trasognato.

lunedì 2 luglio 2012

Sempre d'estate, verso il tramonto, passava il gelataio, il Petrocchi, col suo carrettino bianco e azzurro corredato di cialde e coni: Piangete bambini che mamma vi compra! e tutti con 10 lire avevano il gelato dentro due cialdine rettangolari che finivano in un attimo; qualcuno lo prendeva anche da 20 lire e i più golosi potevano uscire dalle porte a nord per intercettare il carrettino sulla strada e comprarne un altro. A dir la verità qualche volta passava anche un altro gelataio che aveva un nome strano ma mia madre ci consigliava di non comprarlo da lui perché non si era sicuri che fosse fatto in maniera perfetta.(Chissà come mai mi è venuto in mente il cognome Petrocchi che, dice Lucia Rosa, è il vero cognome del venditore di gelato, chi lo produceva era però Cecchini e noi si diceva: E' arrivato il Cecchini! In quanto al secondo gelataio Enza mi ha ricordato che si chiamava Alidò.

domenica 1 luglio 2012

In estate per le bambine i vestiti di tutti i giorni erano interi, sbracciati o con maniche corte, sotto, sempre la canottiera di lana, ai piedi zoccoletti o sandaletti di cencio; per i maschi i calzoncini corti, molto corti, canottiera e le stesse cose ai piedi: non c'erano T shirt. Più piccoli, indossavamo, maschi e femmine, deliziosi pagliaccetti. Peccato non se ne vedano più e, peggio, non si vedano più tanti bimbi in giro nelle corti e nei campi.