lunedì 31 dicembre 2012

L'ultimo dell'anno, così si chiamava. Che si fa l'ultimo dell'anno? Forse avevamo 12, 13, 14 anni, belle, fresche signorine che si affacciavano a una vita sconosciuta con un pò di timore, si lasciavano giochi infantili e si cominciava a guardare negli occhi i maschi che sembravano già da qualche tempo interessati a noi. Del mio primo ultimo dell'anno festeggiato fuori casa ho un ricordo sfocato. Mi accompagnò mia madre, a piedi, nella notte fredda, mi sembra al Magro, in casa di due ragazzine e lì forse ascoltammo musica, forse bevemmo spumante con una fetta di panettone. So che mio padre non era affatto contento. Poi, anno dopo anno, organizzammo, a Pannero, nella sala grande mentre le madri chiacchieravano in cucina, "festine" e, più grandine, nella serra di Sergio sempre guardate da mamme e zie. Ma era un guardare sommesso, non disturbava, anzi ci accompagnava e ci dava sicurezza nell'affrontare un'altra fase della vita. Si andava verso terre sconosciute ma avevamo alle spalle un terreno solido che ci avrebbe sorretto.
Buona fine e buon principio, si diceva, coniugando passato, presente e futuro alla speranza. E così faccio io augurandovi un sereno 2013.

domenica 30 dicembre 2012

Anche se oggi è il trenta e manca un bel mazzetto di ore, metto questo pezzettino scritto un pò di tempo fa.
Il murìcciolo ci aveva accolto anche in quel giorno di fine anno: doveva essere un'invernata tiepida, non ho ricordo di freddo e nemmeno del perché ero rimasta sola.
La sera era scesa presto, sulla strada unica luce il lampione d'angolo; qualcosa di diverso nell'aria, però.
M'incantai a guardare le finestre illuminate, tante di più quella sera: le ragazze si facevano belle per andare al veglione, io ero piccola, sarei andata a letto come al solito: forse però per l'ultima volta, poi avrei fatto come Franchina, Luana, Vera, Carla, avrei avuto un vestito luccicante e mi sarei profumata...e qualcuno mi avrebbe accompagnato a ballare.
Quelle finestre illuminate, una luce gialla e calda sulle facciate delle case mi donavano sicurezza, dovevo solo attendere con calma il mio momento che sarebbe di certo arrivato come era accaduto alle giovani donne che mi precedevano di qualche anno nello svolgersi della vita.

sabato 29 dicembre 2012

"Fino a Natale né freddo né fame. Da Natale in là freddo e fame arriverà." Così ripeteva a volte mia madre esprimendo parole antiche (ma non poi così tanto) collegate a una società contadina che viveva del raccolto dei campi. Allora mi domandavo come mai dopo Natale poteva arrivare la fame: il freddo sì ma la fame era una parola che più tardi ho potuto capire nella sua accezione più brutta. Da piccola, se avevi fame mangiavi e forse la prima intuizione di cosa fosse la fame era legata al bussare, alla porta di casa, dei "poveri" al quale davi quasi sempre il pane; così il termine fame si sposava con povertà e cominciavi a capire come andava il mondo. Un altro modo di dire era: E' (proprio così) gli Innocentini, finite le feste, finiti i quattrini. E questo era più comprensibile perché i quattrini, pur pochi, durante le feste natalizie, venivano usati per il cibo, per i vestiti, per i chicchi e qualche regalo di Befana ai bimbi, per pagare i debiti al merciaino e alla bottega. Ma era un modo di dire quasi scherzoso e anche di sollievo per la fine di un periodo bello ma un pò turbolento.

giovedì 27 dicembre 2012

Tra Natale e Capodanno c'era anche il mio compleanno, proprio il 27 dicembre, oggi cioè. Una delle cose più tenere che mi disse mio padre (e i padri non erano teneri facilmente anzi proprio li temevamo) fu che quando ero nata (in casa, nel letto matrimoniale, con una balia a controllare), poco dopo la mezzanotte del 26 dicembre, c'era una luna piena splendente: Si poteva leggere il giornale! disse. Bene, il mio compleanno è sempre stato festeggiato; era giorno di vacanza dalla scuola, in casa c'erano chicchi, si stava caldi nella cucina e le amiche venivano invitate, non tutte, penso, vista la dimensione del locale (ancora oggi mi chiedo come abbiamo potuto abitarci in cinque eppure allora non me lo sono domandato mai: forse da piccoli oltre il tempo si dilata anche lo spazio!)

mercoledì 26 dicembre 2012

Mi sono dimenticata della letterina di Natale che veniva scritta, spesso a scuola, nei giorni precedenti le vacanze e subito nascosta dalle mamme: Era una deliziosa lettera con le righe e, gioia per i nostri occhi, decorata con figure e piante che ricordavano il Natale, ma tutte luccicanti, dorate e argentate. Lì sopra, con molta attenzione, appena si sapeva scrivere, c'erano parole di affetto al padre, propositi di trasformarci in bimbi buoni e ubbidienti e richieste di soldini. Arrivati all'ora del pranzo natalizio mentre si apparecchiava si metteva la letterina sotto il piatto del padre e alla fine, quando si sparecchiava, lui mostrava sorpresa nel trovarla. Felice e emozionata recitavo così: Caro babbo, oggi è Natale/ senza soldi si sta male/ dammi almeno 100 lire/ per andarmi a divertire. Così arrivavano i soldini. I soldi si chiedevano al padre perché generalmente era lui che lavorava ma non era sempre così nemmeno in quel tempo lontano; le cose stavano cambiando in modo veloce.

lunedì 24 dicembre 2012

E oggi è la vigilia di Natale: minestra di ceci, baccalà lessato e ceci di contorno. Ripropongo il menù ai miei amici da più di trentanni con qualche aggiunta. Per esempio preparo dei crostoni di pane tostato e agliato e sopra adagio la braschetta lessata con un pò del suo brodo di cottura; condisco con l'olio buono di quest'anno. Tutte cose che mangiavo anche quand'ero piccola e con gusto. Oggi voglio fare tanti auguri di buone feste a tutti/e quelli/e che mi leggono e, naturalmente, a tutta corte Fibbiani e anche alle altre corti di Sant'Anna che ormai non compaiono più nemmeno sugli indirizzi.

BUON NATALE  e SERENO ANNO NUOVO.

sabato 22 dicembre 2012

Mandarini, noci e fichi secchi, poi sottanine cucite dalle mamme e dalle sartine della corte, qualche volta un maglioncino (mi ricordo una gonnella di stoffa tipo scozzese, a quadroni nei toni del giallo, marrone e nero e un maglioncino giallo), non mancava il librettino, sottile e colorato con qualche racconto da leggere e disegni da guardare e poi qualche chicco...mica tanto altro; ma io ero felice di quei doni, certo quella volta che a tutte le bambine della corte arrivò l'hula hoop (si scrive così?) la festa fu indimenticabile.

giovedì 20 dicembre 2012

Insieme all'odore del legno bruciato, irresistibile quello del pino, quei giorni che andavano dal Natale alla Befana, profumavano di arance e mandarini. Questi frutti arrivavano nel periodo natalizio a rallegrare con il colore, l'odore e il sapore delizioso (tutto ciò che era aspro mi piaceva) questa parte dell'anno che vedeva i bambini liberi dalla scuola. Non c'erano regali a Natale ma tutti noi aspettavamo la Befana cercando di essere un pò più buoni nei giorni precedenti per evitare l'odiato carbone: ed era carbone vero, che ti sporcava le mani. Che ci portava la Befana la sera della vigilia della sua festa?

mercoledì 19 dicembre 2012

In questi giorni di dicembre mi ricordo di come la corte aspettava il Natale, con la solita calma, c'era anzi più attesa e direi lavorìo per le feste del Corpus Domini e anche per la festa di Sant'Anna perché quelle toccavano proprio la corte e la voglia di fare tutto per bene (i tappeti alle finestre, le luci, la fiorita, la processione) e insieme, naturalmente, quanto era di competenza familiare (le torte, gli inviti, i vestiti...). Il Natale era vissuto più all'interno della famiglia e non comportava lavoro con gli altri tranne che il mettersi d'accordo per la Messa di mezzanotte. Si andava a piedi in gruppi più o meno grandi, i più piccoli generalmente andavano a letto presto e anche quelli più vecchi. Una sera toccò anche a me andare e incontrare sulla via del Tiro a segno altri gruppetti delle corti circostanti: mi ricordo nell'aria un profumo di pino bruciato insieme al freddo dell'aria sulle gambe velate soltanto da calze di naylon, forse la sciarpa al collo e un foulard di lana sui capelli. Questo succedeva quando già ero ragazzina: da piccolina la parte migliore era la fine della Messa e la presentazione, da parte del prete, alle labbra di quella statuina di Gesù bambino che era bellissima; ci si dirigeva tutti, a turno, alla balaustra circolare dell'altare e, come il vento, Don Romolo Motroni passava davanti alle persone dicendo una frase di rito (non la ricordo più); ognuno gettava un bacio all'incirca ai piedini del Bambinello che era sorridente e a braccia aperte. Negli occhi assonnati dei bambini rimaneva un che di azzurro e rosato.

domenica 16 dicembre 2012

Eh, sì, nella corte volavano spesso bestemmie, "moccoli come rena", si diceva: alcuni non mettevano insieme tre parole senza intercalare una parolaccia e quelli più piccoli imparavano presto a smoccolare. Ma quel parlare raramente era accompagnato dalla rabbia (sì, rabbia si diceva, anche se le maestre ci correggevano con "ira", vuoi mettere rabbia?), rimaneva una protesta, consolidata in parole, che rappresentava la fatica del vivere quotidiano, del lavoro duro, delle poche soddisfazioni. Oltre ai moccoli, diciamo così, storici e più usati, ai nomi di Dio, Cristo e la Madonna venivano accoppiati termini più creativi che a volte nascevano lì per lì ( non so se ho già raccontato di Fedora che in un'occasione cominciò così: Dio, Dio, Dio rosso-nero, riferendosi ai colori della maglia della Lucchese) e a volte si camuffavano con io al posto di Dio  o con espressioni come "Cristo santo", " Cristo di Dio".

sabato 15 dicembre 2012

Non ricordavo che il vecchio Peschiera ( era Carlo, di nome, e Carlo era anche il nipote) fosse soprannominato Miseria Cane: Lucia Rosa dice che quando venivano in corte chiedevano: Dove sta Miseria Cane?, non Carlo, non il Peschiera! Ma non mi stupisco dei soprannomi perché tutti ne avevamo uno, a volte anche due. Emma, invece sembra prendersi una sua rivincita: piccolina, scura come Santa Zita, come dice Sergio, attaccata ai muri della casa facendo calzerotti di lana coi cinque ferri, silenziosa, quasi si volesse rendere poco visibile; eppure, forse proprio per queste caratteristiche, è un ricordo molto presente, spicca per la sua mitezza e anche per un'accettazione sorridente di quello che ha in serbo per noi la vita.

giovedì 13 dicembre 2012

Sergio, il fratello di Lucia Rosa, ha scritto un ricordo della corte che ora trascrivo.
"La casa dei Peschiera era posta fra l'incrocio di via Boboli con via Vecchi  Pardini. L'ingresso della casa era dalla corte. Si entrava direttamente in una piccola sala con al centro un tavolo. Alla sinistra stava seduto sempre il vecchio Peschiera; non ricordo più come si chiamasse. Comunque tutti lo chiamavano Miseria Cane perché questo era un intercalare che lui adoperava almeno ogni tre parole e per noi ragazzi era una grazia di Dio perché in corte Fibbiani tutti gli uomini e anche le donne bestemmiavano. Il vecchio Peschiera se ne stava lì seduto a rimettere insieme qualche vecchio grammofono a manovella (quelli con il trombone). Sempre sulla sinistra ma in fondo alla sala, attraverso tre scalini si accedeva ad un ripiano semicurvo dove, appoggiata alla parete avresti trovato Emma, la servetta di casa, dal carnato scuro come Santa Zita. Emma stava lì in silenzio, anzi il più delle volte dormiva in piedi e faceva il calcetto. Quest'ultimo, contrariamente a quello che si intende oggi, era la fabbricazione dei calzini che Emma faceva, non ho mai capito come, con cinque ferri. La cosa più sorprendente è che lavorava anche mentre dormiva. Vittorio, figlio del Peschiera, aveva un cane da caccia, un gordon nero e marrone di circa ottanta chili, ben addestrato come del resto tutti i suoi cani e ogni tanto diceva:- Tom, sveglia Emma!- e Tom si alzava e con le sue enormi zampe aggrediva la servetta la quale anche per restare al gioco urlava e faceva finta di avere paura. Questo si ripeteva quasi tutti i giorni finché non successe il fattaccio: quella volta Emma perse l'equilibrio, cascò dagli scalini e si troncò un braccio. Fu subito portata da Giulia che era la donna che rimetteva a posto le troncature; stava a Sant'Angelo e bastava andare da lei con due coppie d'uova: una per fare la chiarata con la stoppa e il chiaro d'uova e l'altra era il ricompenso del lavoro svolto. In quel mese che Emma dovette stare con il braccio al collo tutti in casa si accorsero quanto fosse stata utile e naturalmente cessò lo scherzo del cane."

lunedì 10 dicembre 2012

Se non ho contato male i Pardini, maschi, femmine, piccini e grandi erano in corte Fibbiani, nel 1935, 54 (cinquantaquattro) e qualcuno era in America. Era così diffuso questo cognome nelle corti di Sant'Anna, zona nord particolarmente, che dovettero intitolare una via, giusto via Vecchi Pardini, e anche corte Pardini (che erano due corti in effetti). Ma qualcuno mi sa dire da dove è venuto il nome Fibbiani? non certo da un cognome, forse da un luogo di provenienza?, forse da un mestiere? Il mistero permane.

domenica 9 dicembre 2012

La moglie di Tonio, Boschino, si chiamava Guidotti Maria, di Turrini ce ne sono cinque: il capofamiglia, Angelo q.Giuseppe, nato nel 1870 (Roma capitale!), i figli Sabatino Foresto, Tranquillo, Adriano e c'è Giorgina, figlia di Sabatino e di Del Sarto Zelmira. Compare la seconda Guidotti, Gemma, moglie di Americo Pardini che hanno tre figli: Amedeo del 1911, Agostino del 1912 e Enzo del 1914. Ci sono due Giorgi, Giorgio e Donello che ha sei anni, e una Rossini, precisamente Uliena, nonna di Patrizia; una Ricci, Virginia, che era moglie di Truccio: una Dal Pino, Albertina e una Casini, Giovanna, che, sposate con due fratelli Mencacci, hanno in tutto nove figli. Sono 12 Mencacci perché è sempre vivo il capostipite Giuseppe, nato nel 1869. Il mio cognome non compare ancora, mio padre comunque abitava poco distante, in corte Bonturi.

venerdì 7 dicembre 2012

I Lorenzetti sono tre, Odolino (stava a Fibbiani!) e due figlie, Mariella di un anno e Lia, nata nel 1936 e aggiunta dopo. La moglie di Odolino si chiamava Baiocchi Norma. Altro cognome, Del Bianco  è quello della madre di Umberto Torselli, Isola, che morirà di lì a poco ma aveva avuto la compagnia della nipotina Carla per otto anni. C'è una Bonturi (cognome della mia nonna Virginia) soltanto ed è sposata con Pardini Pietro, insieme hanno una figlia, Severina, nata nel 1886 e abitano insieme alla famiglia Lenzi: ecco chi era Severina!, era la madre di Edilia, mentre il padre era Lenzi Luigi che aveva avuto altri due figli: Ferdinando e Giovanna.
Il cognome Pardini non è sottolineato perché il più presente in assoluto, poi proverò a contarli...continua

giovedì 6 dicembre 2012

Di Chelini ne compare uno, precisamente Arturo che era nato nel 1888, Cagnacci era Maria la Ficca, madre di Dantina e Fedora e di Pietro il primogenito di cognome De Luca, due sono i Luporini. Angelo, marito di Fedora e padre di Liana che aveva tre anni, di Campi ce n'è uno, il mio zio Orfeo, come due sono i  Giuntini, Giovanni che era il secondo marito della mia nonna Maria Lucchesi e Ines, la figlia che sarà mia madre. C'è Baroni Carlo e sua figlia Faustina con la madre che faceva Graziani di cognome e Stella di nome. Poi ci sono Angela vedova di Michele Bergamini, i suoi tre figli, Giuseppe, Paolino, Vittorio, una nuora , Fambrini Delfa e il figlioletto Michele avuto da Vittorio. I Cecconi sono sei, Tosca, Adele, Alfredo, Orlando e Bruno, il primogenito che è sposato con Giorgetti Giovanna. I Franchi sono quattro: il padre Eligio, i figli Roberto, Enzo ( penso sia il padre di Bernardetta) e Franca: la madre si chiamava Sbragia Giuseppina, un altra figlia di Eligio, Elza risulta sposata con Davini Eugenio e vive in un'altra casa...continua

mercoledì 5 dicembre 2012

Ci sono nella lista cognomi che compaiono una o poche volte, rari per la corte: Pera Elvira, moglie di Pardini Michele fu Giocondo, aveva 5 figli ( il primogenito, Gino, nato il 10 giugno 1903, era in America) e una nipotina neonata, Petrella Maria, anche questo cognome compare una volta, nata dalla figlia Italia.
Marchi Rosa era nata nel 1856 e faceva la maestra, morì nel 1935. Minucciani Dina, nata nel 1886, moglie di Pardini Pietro, zio di Lucia Rosa, Rossi compare due volte, Fosca, madre di Lucia Rosa e Aurelio, nato nel 1891, padre di Lido il barbiere. Serafini Paolo, nato nel 1873.  Lippi Ester, vedova di Martinelli Maurizio che viveva con i figli Angelo, Luciano e Giuliano e con la nuora Marconi Antonietta. Peschiera Carlo fu Gervasio con 4 figlie e 2 figli; la moglie era Matilde Vannucci, cognome che compare due volte perché c'è anche suo fratello Italo che era marito di Emma e insieme a loro viveva ancora la madre di Matilde che si chiamava Vincenza Ferrini ed era nata nel 1847....continua
Come si vede di vie ci sono solo quelle principali, Sarzanese e Pisana, un accenno al Bersaglio e al Tirassegno; importanti erano le corti e le località in una zona dedicata alla coltivazione dei campi.
E ora voglio indicare i cognomi, le casate, e naturalmente si inizia da Pardini, quello più presente in assoluto, Pera, Petrelli, Minucciani, Rossi, Serafini, Giusti, Lippi, Martinelli, Marconi, Peschiera, Vannucci, Barsotti, Ferrini, Chelini, Cagnacci, De Luca, Luporini, Lucchesi, Campi, Giuntini, Baroni, Graziani, Bergamini, Fambrini, Cecconi, Giorgetti, Franchi, Sbragia, Davini, Lorenzetti, Baiocchi, Del Bianco, Torselli, Bonturi, Lenzi, Guidotti, Turrini, Giaconi, Del Sarto, Giorgi, Rossini, Ricci, Mencacci, Dal Pino, Casini.

martedì 4 dicembre 2012

Lo "Stato delle anime" del 1935, cioè l'elenco delle famiglie residenti nella parrocchia di S.Anna, inizia con la famiglia del parroco, Giannini dott. Girolamo, che viveva con la sorella Elvira e con il padre Giovanni e prosegue con altre quattro famiglie senza indicazione della località, certo era nei dintorni della chiesa. Poi le famiglie sono elencate a seconda dei luoghi: Porta Vecchia, via Porta Vecchia, Cimitero, Piagge, corte Millo, via Cavalletti, corte Lenzi, corte Fantoni, Gallina, a Goccino, a Meassino, corte Pettinati, corte Ciocco, corte Bonturi, via del Bersaglio, via del Tirassegno, via Sarzanese, Chiesa e case vicine, Chiesa case nuove, corte Venturi, Posta, Posta e Masini, corte Masini, Trippa, Boboli, corte Brillo, corte Pardini, corte Fibbiani, corte del Magro, corte Pistelloni, Palazzaccio, corte Sandorini, un'altra corte Bonturi, Patacchi, corte Landucci, corte Occhino, corte Massoni, corte Orsolini, corte Dovichetti, al Cinquini, Piaggetta, corte Martinelli, corte Baciali, corte Nardoni, a Franchini, Deposito tram, Scambio, Maestresi, Micheloni, presso Boccaccia, Boccaccia, corte Bardelli, corte Capanne, al Chiasso, corte Ramacciotti, corte Cello e Moni, fra Cello e Marchi, via Pisana, corte Marchi case nuove, corte Buchignani, al Nannini, Cagnacci, via S:Donato, Puccetto.  Numero 4000 anime, firma il sacerdote Francesco Massoni che prende il posto del parroco Giannini deceduto.

lunedì 3 dicembre 2012

Certo non intendo fare una ricerca seria, solo dare qualche dato, verificare le presenze e le mancanze ma non posso non dirvi quanta vita c'è in un foglio di archivio: io forse sono un pò fissata con i documenti, con quei fogli di carta ingiallita che hai paura a toccarla ma è grazie a quei posti così poco frequentati che ho potuto ritrovare qualcosa del mio nonno paterno, Sem Paradisi e anche tanta altra ricchezza tenuta con cura in scaffali polverosi e preziosi. Solo grazie ai documenti, in questo caso quelli di un archivio parrocchiale, si può risalire indietro nel tempo e riscoprire posti e persone che non ci sono più ma che hanno caratterizzato la nostra vita. Così, ad esempio i nomi delle corti di S.Anna e le varie località che avevano tutte un loro significato. Domani ne indicherò alcune.

domenica 2 dicembre 2012

Quasi tutte quelle persone nel 1935 abitavano in corte, non tutte, qualcuno doveva ancora venire, altri si saranno spostati, le tre case a sud est non c'erano ancora, saranno state costruite dopo la guerra, già, la guerra, solo dopo cinque anni iniziò e chissà come avrà trattato quel piccolo posto. Di qualcuno lo so dai racconti dei miei genitori perché bambini e bambine del dopoguerra sapranno tante storie, raccontate da nonni e padri e madri e zii.
Alcune persone non le ho conosciute, quei cognomi non li ricordo, come Serafini, Bergamini, Fambrini, Cecconi, tanti erano nati nella seconda metà dell'Ottocento; le nostre future mamme erano signorine (ad eccezione di Fosca, che era già sposata con Giorgio e aveva un bambino di nome Sergio) ed abitavano in corte con le famiglie: Ines, Assunta, Lida, Elia, Liana che era piccina ma si sarebbe sposata giovanissima. Mancava Gina di Grazia, Irene di Bernardetta, Nazarena di Laurina.

sabato 1 dicembre 2012

E conoscere i nomi di tutte quelle persone e sapere che in quell'anno vivevano lì, in quelle case che ho, dopo tanti anni, visto giorno dopo giorno, dove sono entrata a salutare, a giocare, a pregare, a ballare, a studiare è per me una cosa bellissima, mi congiunge al passato e crea quei fili tra le persone, quella rete che non si spezza nemmeno dopo tanti anni, che resiste nonostante i lunghi distacchi, anche se albe e tramonti si sono visti da altri posti, da altre case. L'alba, il sole che nasceva, lo vedevo dalla finestra della camera dei miei fratelli e illuminava, in lontananza un pioppo altissimo e frondoso che poi tagliarono, il tramonto a seconda della stagione inondava la corte di un colore dolcissimo, una spennellata di arancio-rosa che ti sorprendeva e ti calmava prima della sera. Ora ad est e a ovest palazzi alti brutti e belli rendono più alta la linea dell'orizzonte e così il sole esce dopo e si nasconde prima. Una perdita, ragazzi.

giovedì 29 novembre 2012

Anche i nomi degli uomini in quell'anno presenti in corte: Michele, Giovanni, Luigi, Gino, Pietro, Giorgio, Sergio, Angelo, Andrea, Enrico, Paolo, Eugenio, Luciano, Giuliano, Carlo, Marino, Vittorio, Italo, Arturo, Otello, Orfeo, Aurelio, Lido, Giuseppe, Alfredo, Orlando, Bruno, Eligio, Roberto, Enzo, Odolino, Lorenzo, Alfonso, Adolfo, Dario, Umberto, Ferdinando, Antonio, Sabatino Foresto, Adriano, Narciso, Amerigo, Amedeo, Agostino, Donello, Achille, Silvano, Renato, Mario, Aldo, Alberto, Francesco, Leonetto, Oriano, sentite che bella varietà!

mercoledì 28 novembre 2012

E tutti questi nomi si ripetono da nonni e nonne a nipoti e nipotine così che saresti in grado di risalire ai tuoi antenati molto facilmente, seguendo, appunto la linea dei nomi. E che bei nomi sono, indirizzati dal ricordo, dalla necessità del ricordo o anche dalla fantasia, dai libri letti, dalle idee, dalle speranze. E così le bambine si chiamavano Elvira, Italia, Nella, Rosa, Dina, Eufemia, Eugenia, Fosca, Pia, Nara, Davidina, Ernesta, Viola, Ester, Giorgia e Giorgina, Matilde, Margherita, Marina, Emma, Dantina, Fedora, Liana, Ines, Assunta, Stella, Faustina, Delfa, Mistica, Tosca, Adele, Iolanda, Elsa, Norma, Lia, Loda, Carmelinda, Teresa, Isola, Severina, Edilia, Assunta, Pasqua e Pasquina, Zelmira, Felice usato per maschi e femmine, Gemma, Dora, Uliena, Elia con l'accento sulla e, Virginia, Lida, Albertina oltre ad Anna e Maria che non facevano però la parte del leone. Ognuno di questi nomi si incarnava con la donna che lo portava e, insieme, creavano un universo di visi, caratteri, parlate, risate, andature, comportamenti: un insegnamento permanente per noi bambine e bambini; avevamo nella corte una scuola unica senza banchi né bacchette, le insegnanti non ti insegnavano eppure tu imparavi.

martedì 27 novembre 2012

E così c'è un elenco di nomi, di parentele, di anni lontani; ma un elenco significativo, commovente per me: si ritrovano persone, si precisano i legami fra loro, si scoprono sconosciuti, si ricordano quelli che non ci sono più, si rivedono gli atteggiamenti, i discorsi, le facce di quelli che, poi, avremmo conosciuto anche noi bimbe nate negli anni successivi alla guerra. Quelle persone, quelle famiglie, erano presenti nel 1935, noi saremmo nate in un periodo migliore, saremmo arrivate senza conoscere le ferite del fascismo e della guerra e nemmeno dell'emigrazione ma il substrato delle nostra crescita era quello, noi avremmo bevuto quei dolori, quelle gioie, quelle speranze. La vita avrebbe avuto un percorso suo ma la partenza era nota, non si nasceva da niente e nel niente.

lunedì 26 novembre 2012

Trentuno
Mencacci Francesco di Giuseppe, nato nel 1890
Casini Giovanna, moglie, nata nel 1899
Mencacci Leonetto, figlio, nato nel 1919
Mencacci Marino, figlio, nato nel 1920
Mencacci Luciano, figlio, nato nel 1924
Mencacci Anna, figlia, nata nel 1930
Mencacci Oriano, figlio, nato nel 1934

Con questa casa, la numero trentuno, finisce corte Fibbiani e inizia corte Del Magro.

sabato 24 novembre 2012

Ventinove
Pardini Renato di Narciso, nato nel 1898
Ricci Virginia, moglie, nata nel 1902
Pardini Mario, figlio, nato nel 1921
Pardini Lida, figlia, nata nel 1925

Trenta
Mencacci Giuseppe fu Francesco, vedovo, nato il 27/10/1869
Mencacci Angelo di Giuseppe, nato nel 1888
Dal Pino Albertina, moglie, nata nel 1896
Mencacci Aldo, figlio, nato il 26/06/1913
Mencacci Alberto, figlio, nato nel 1915
Mencacci Giuseppe, figlio, nato nel 1921
Mencacci Paolo, figlio, nato nel 1929
Ventisette
Pardini Narciso fu Luigi, vedovo, nato nel 1856
Pardini Luigi, di Narciso, in America
Pardini Amerigo di Narciso, nato nel 1880
Guidotti Gemma, moglie di Amerigo, nata nel 1880
Pardini Amedeo, figlio, nato nel 1911
Pardini Agostino, figlio, nato nel 1912
Pardini Enzo, nato nel 1914
Giorgi Giorgio di Alberto, nato nel 1904
Pardini Dora di Amerigo, moglie, nata nel 1908
Giorgi Donello, figlio, nato nel 1929

Ventotto
Pardini Achille, di Narciso, nato nel 1886
Rossini Uliena, moglie, nata nel 1892
Pardini M.Elia, figlia, nata nel 1914
Pardini Silvano, figlio, nato nel 1921

giovedì 22 novembre 2012

Venticinque
Turrini Angelo q.Giuseppe, nato nel 1870
Giaconi? Pasquina, moglie, nata nel 1886
Turrini Sabatino Modesto, figlio, nato nel 1905
Turrini Tranquillo?, figlio, nato nel 1910
Turrini Adriano, figlio, nato nel 1915
Del Sarto Zelmira di Adolfo, moglie di Sabbatino
Turrini Giorgina, figlia di Sabbatino, nata nel 1938?

Ventisei
Pardini Lucia, q.Settimo, vedova di Pardini David, nata 31 luglio 1862
Pardini Felice fu David q.Paolo, nato nel 1899
Pardini M.Anna fu Paolo, nata nel 1868

mercoledì 21 novembre 2012

Ventitre
Pardini Pietro q.Antonio, nato nel 1867
Bonturi Pasqua q.Antonio, moglie, nata nel 1863
Pardini Severina, figlia, nata nel 1886
Lenzi Luigi q.Ferdinando, marito, nato nel 1878
Lenzi Ferdinando, figlio, nato nel 1908
Lenzi Edilia, figlia, nata nel 1909
Lenzi Giovanna, figlia, nata nel 1915

Ventiquattro
Pardini Antonio di Eugenio, nato nel 1888
Guidotti Maria q.Agostino, nata nel 1881
Pardini Assunta, figlia, nata il 3 settembre 1914
Ventuno
Martinelli Carmelinda vedova di Pardini Carlo, nata nel 1849
Pardini Adolfo fu Carlo, nato nel 1886
Martinelli Teresa q.Cesare, seconda moglie, nata nel 1882
Pardini Dario, figlio della prima moglie, nato nel 1909
Pardini Carlo, figlio della prima moglie, nato nel 1910
Pardini Giuseppe, figlio della prima moglie, nato nel 1914

Ventidue
Del Bianco Isola vedova di Torselli Pilade, nata nel 1857
Torselli Umberto fu Pilade, nato nel 1898
Pardini Maria fu Carlo, moglie, nata nel 1897
Torselli Carla, figlia, nata nel 1928

martedì 20 novembre 2012

Diciannove

Lorenzetti Odolino fu Federigo, nato nel 1906
Baiocchi Norma di Enrico, moglie, nata nel 1908
Lorenzetti Mariella, figlia, nata nel 1934
Lorenzetti Lia, figlia, nata il 6 giugno 1936 (aggiunta)

Venti

Pardini Lorenzo q.Alfonso, nato nel 1882
Pardini Elvira q.Benedetto, moglie, nata nel 1991
Pardini Anna, figlia, nata nel 1915
Pardini Loda, figlia, nata nel 1920
Pardini Alfonso, figlio, nato nel 1922
Pardini M.Angela, figlia, nata nel 1926

lunedì 19 novembre 2012

Diciassette

Franchi Eligio q.Giacomo, nato nel 1872
Sbragia Giuseppina q.Attilio, moglie, nata nel 1880
Franchi Roberto, figlio, nato nel 1909
Paoli? Iolanda, moglie, nata nel 1901
Franchi Enzo di Eligio, nato nel 1913
Franchi Franca di Eligio, nata nel 1919

Diciotto
 Giusti Renato di Giuseppina, nato nel 1901
Iolanda, moglie, nata nel 1904
Davini Eugenio di Orlando, nato nel 1901
Franchi Elsa, di Eligio, moglie, nata nel 1907

Varie note avvertono che questa famiglia si trova a Milano, che Giusti Renato è deceduto nel 1936 e che una Maria Grazia, peraltro non elencata si trova "a W.".

domenica 18 novembre 2012

Quindici

Bergamini Angela, vedova di Michele, nata nel 1869
Bergamini Giuseppe, figlio, nato nel 1897
Bergamini Paolino fu Michele, nato nel 1910
Bergamini Vittorio fu Michele, nato nel 1908
Fambrini Delfa q.Zeffiro, moglie di Vittorio, nata nel 1913
Bergamini Michele, figlio, nato nel 1932

Sedici

Cecconi G.Battista di Michele,nato nel 1893
Pardini Mistica, moglie, nata nel 1880
Cecconi Tosca, figlia, nata nel 1910
Cecconi Adele, figlia, nata nel 1912
Cecconi Alfredo, figlio, nato nel 1918
Cecconi Orlando, figlio, nato nel 1922
Cecconi Bruno di G:Battista, nato nel 1905
Giorgetti Giovanna, moglie, nata nel 1901.


sabato 17 novembre 2012

Tredicesima

Rossi Aurelio di Luigi, nato nel 1891
Pardini Assunta, moglie, nata nel 1888
Rossi Anna, figlia, nata nel 1918
Rossi Lido, figlio, nato nel 1920
Rossi Luigi, figlio, nato nel 1923

Questa era la casa adiacente, a est, alla mia, la casa del barbiere, grande e bella, ho fatto in tempo a girarci intorno giocando a rimpiattino, poi fu recintata. Anna deve essere la mamma delle sorelle Giorgetti, con la più piccola ho giocato.

Quattordicesima

Baroni Carlo fu Francesco, nato nel 1889
Graziani Stella, moglie, nata nel 1880
Baroni Faustina, figlia, nata nel 1910

I nomi mi dicono qualcosa, specialmente Stella; era lei la vecchina col naso sciupato che abitava nella casina che fu poi dei Giangrandi?

venerdì 16 novembre 2012

Dodicesima:
Campi Maria, vedova di Alfredo, nata nel 1880
Campi Orfeo fu Alfredo, nato nel 1909
Giuntini Giovanni, secondo marito di Campi Maria, nata nel 1875
Giuntini Ines di Giovanni, nata nel 1915

Beh, questa è la famiglia dei miei nonni, morti, purtroppo, prima che fossi in grado di conoscerli.
La mia nonna Maria di cognome faceva Lucchesi ma, siccome sposandosi prendeva il cognome del marito,
viene elencata come Campi, cognome del suo primo marito dal quale aveva avuto due figli, Orfeo che è sempre in casa e Dino che nel 1935 era già in America da tempo, precisamente in California, South San Francisco. Giovanni Giuntini che darà il suo cognome a mia madre non era lucchese, veniva da Capannoli di Pisa. Infine mia madre, Ines, non ha gli altri due nomi, Anna e Maria, che pure erano sulla sua carta d'identità.

mercoledì 14 novembre 2012

La decima:
Chelini Arturo q. Abramo, nato nel 1888
Martinelli Italia, moglie, nata nel 1898
Chelini Elena, figlia, nata nel 1919
Chelini Otello, nato nel 1922.

L'undicesima
Cagnacci Maria, vedova di De Luca Maurizio, nata nel 1876
De Luca Pietro q. Maurizio, figlio nato nel 1899
De Luca Dantina q. Maurizio, nata nel 1913
Luporini Angelo di Dante, nato nel 1910
De Luca Fedora q. Maurizio, moglie, nata nel 1908
Luporini Liana, figlia, nata nel 1932.

La nona:
Peschiera Carlo q.Gervasio, nato nel 1888
Vannucci Matilde fu Lazzaro, moglie, nata nel 1898
Peschiera Marina, figlia, nata nel 1912
Peschiera Margherita, figlia, nata nel 1914
Peschiera Carlina, figlia, nata nel 1916
Peschiera Silvana, figlia, nata nel 1920
Peschiera Marino, figlio, nato nel 1918
Peschiera Vittorio, figlio, nato nel 1927
e fin qui i figli, sei, e la prima, Marina, partorita da Matilde a 14 anni! Ma la famiglia continua e mi svela forse un mistero.
Vannucci Italo, fu Lazzaro, nato nel 1885
Barsotti Emma fu Enrico, moglie, nata nel 1888 (è lei la Emma che ho conosciuto? allora era la cognata di Matilde!)
Ferrini Vincenza q.Alessandro, nata nel 1847, vedova di Vannucci Lazzaro.

martedì 13 novembre 2012

Settima:
Serafini Paolo q.Ranieri, nato nel 1873
Giusti Giorgia di Eugenio, moglie, nata nel 1886
Scritto con altra penna, successivamente, c'è Giusti Eugenio, q.Girolamo, nato nel 1857


Ottava:
Lippi Ester vedova di Martinelli Maurizio, nata nel 1868
Martinelli Angelo fu Maurizio, figlio, nato nel 1903
Moriconi (corretto in Marconi) Antonietta, moglie di Angelo, nata nel 1903
e i loro due figli:
Luciano Aladino, nato nel 1925
Giuliano, nato nel 1927.

lunedì 12 novembre 2012

La sesta casa:
Pardini Andrea q.Giocondo, vedovo, nato nel 1863 (una croce ne segnala la morte il giorno di Natale di quell'anno).
Pardini Ernesta, figlia, nata nel 1906, una nota ci dice che sta "in casa".
Pardini Enrico, figlio, nato nel 1908
Pardini Viola, figlia, nata nel 1913
Pardini Annunziata, figlia, nata nel 1904, una nota ci dice che sta "a Pescia".
Tra Enrico e Viola è stata inserita, successivamente Battaglia Giuseppina, di Giuseppe, nata il 7/4/1890.
Enrico è il lattaio?

domenica 11 novembre 2012

Tra la casa di Pardini Michele fu Giocondo e quella di Marchi Rosa, la maestra, viene segnalata una casa vuota.
Si prosegue:
Pardini Angelo fu Carlo, nato nel 1890
Pardini Pia, moglie, nata nel 1900
Pardini Nara, figlia, nata nel 1923
Pardini Carlo, figlio, nato nel 1925
Pardini Davidina, figlia, nata nel 1928
Qui il parroco ha messo solo l'anno di nascita.
Questa famiglia l'ho conosciuta bene, non ricordo Carlo, mentre il capofamiglia Angelo l'ho sempre sentito chiamare Vìlsone o Vilsònne, da Wilson, presidente americano, (e qui si aprirebbe tutta la storia di emigrazione che ha visto tanti della corte andare e, quasi sempre, tornare) ma sarà per un'altra volta.Che Nara avesse quasi novant'anni non l'avrei detto, una donna bella ancora e sorridente che ho visto recentemente. Sua sorella noi la chiamavamo Dàvida, nome insolito, ma non per noi che vivevamo tra Uliene, Clorinde, Minerve, Castrucci, Eoli...


sabato 10 novembre 2012

Seconda famiglia

Marchi Rosa, vedova di Pardini Giuseppe, nata nel 1856 e morta nel 1935, maestra.

Terza famiglia

Pardini Rosa vedova di Carlo, nata il 30/11/1857
Pardini Pietro fu Carlo, figlio, nato il 13/3/1886
Minucciani Dina di Cherubino, moglie, nata nel 1886
Pardini Eugenia fu Carlo, nata il 7/2/1899
Pardini Giorgio fu Carlo, nato il 15/11/1901
Rossi Fosca, moglie di Giorgio
Pardini Sergio di Giorgio, nato 1929.

Queste persone le ho conosciute tutte tranne Rosa, nata prima dell'Unità d'Italia, ma ho conosciuto, per fortuna, la bisnipotina che ha portato con sé il nome della bisnonna e si chiama Lucia Rosa.

venerdì 9 novembre 2012

Ho ricevuto in dono, qualche anno fa, da una gentile signora, un tesoretto che è costituito da fascicoli di fotocopie di documenti tratti dall'Archivio della Parrocchia di Sant'Anna. Suo marito, il signor Mazzanti aveva effettuato questa collezione di documenti che avrebbe voluto, credo, elaborare, ma non ha potuto. Quindi per un fortunato caso ora sono nella mia casa e stamani ho dato un'occhiata: nel seguito della giornata ho pensato che avrei potuto utilizzarli, intanto, per questo blog dove sono i miei ricordi di corte Fibbiani. Sono gli "Stati delle anime" e, in particolare, i dati riguardano l'anno 1935. Sul frontespizio viene riportato il numero degli abitanti di Sant'Anna (quattromila), il nome del parroco (Giannini dott.Girolamo) e delle persone che abitavano con lui ( sua sorella Elvira e suo padre Giovanni).
Gli abitanti della prima casa elencata sono:
Pardini Michele fu Giocondo nato il 15/11/1865
Pera Elvira, moglie
Giovanni, figlio, nato il19/9/1906
Italia, figlia, nata il 22/2/1909
Luigi, figlio, nato il 27/2/1911
Nella, figlia, nata il 29/7/1914
Petrelli Maria, figlia naturale di Italia, nata in quell'anno
Viene annotato anche un altro figlio di Michele e Elvira, nato il 10/6/1903, quindi il primogenito, che si chiama Gino e si trova in America.

domenica 4 novembre 2012

I fratelli Lenzi
Erano tre i fratelli Lenzi, grandi, più grandi dei miei fratelli, lavoravano e in corte era difficile vederli durante il giorno. Ma avevano un giradischi e avevano un motore. Si sentiva la musica dalle finestre quando, insieme alle ragazze della corte si esercitavano nei balli, ed era come stare al cinematografo, solo che non si vedevano i ballerini ma oltre la musica si sentivano le risate e le parole. Il motore non so di quale fratello era, io so che nelle domeniche d'estate sentivo l'odore di olio e benzina quando lo provavano e lo pulivano per bene, un misto di profumi che col caldo dell'aria si esaltava; mi piaceva quell'odore che non si sente quasi più, bisogna forse andare in un'officina meccanica, ma no, no, oggi fanno olii tutti diversi, quell'odore è proprio perduto. Li ho presenti tutti e tre ma mi ricordo solo due nomi: Mileno, il più grande e alto e Pietrino, per il terzo qualcuno mi rinfreschi la memoria.

sabato 3 novembre 2012

Si ricomincia con le persone
Emma
Non ho mai saputo di dove venisse Emma, come fosse capitata nella corte a fare i lavori nella casa dei Peschiera, semplicemente era parte di Fibbiani e che domande ti devi fare da piccola? Due cose in particolare ricordo di questa persona piccola e di poche parole, la bicicletta e il lavaggio di piccoli capi di biancheria e di verdure alla pompa. La bicicletta non so di chi fosse, lei non sapeva andarci, aveva, mi sembra, un colore gialliccio, non era nera come la maggior parte a quel tempo; Emma metteva le mani sulle manopole e al manubrio attaccava una grossa sporta di paglia, poi s'incamminava spingendo la bicicletta per via Vecchi Pardini alla volta dei negozi che erano a Musolino: la bicicletta le serviva per trasportare il peso della sporta piena e a me, che l'avevo sempre vista fare così, non sembrava strano. Qualche volta l'ho vista alla pompa a lavare i ravanelli (le radicine, si chiamavano), quelle palline rosse sotto lo scroscio dell'acqua erano belle a vedersi come anche quando sciacquava i calzini rovesciandoli varie volte; eseguiva quei piccoli lavori con una calma e un metodo che denotava rispetto per le cose. A me Emma è sempre sembrata vecchia, ma forse proprio non lo era; non so chi mi raccontava di un figlio o figlia? che aveva da qualche parte ma quello che notavo di lei era la sua mitezza, il non alzare mai la voce, lo svolgere con precisione tanti lavori e, naturalmente, il suo perenne dolce sorriso.

domenica 28 ottobre 2012

Abbiamo delle fotografie scattate all'Elba che ci ritraggono ritte su una panchina con fette di cocomero in mano e spostate tutte in avanti per non macchiarci il vestito, facce soddisfatte e ridenti, contente di quello che ci capitava, di ciò che arrivava nella nostra vita, anche se qualcuno potrebbe definirlo niente. Quel tempo ci è stato leggero, ci ha cresciuto con lentezza e non se n'è andato via, è rimasto insieme a tutto quello che è venuto poi come si fosse adagiato in uno scrigno, da riaprire ogni volta che ce n'è bisogno.

venerdì 26 ottobre 2012

Abbiamo fatto diverse gite all'Elba e ogni volta sul traghetto si trovava la maniera di divertirci. Si scattavano  fotografie in posti strani (anche sulle scialuppe di salvataggio), non si stava mai ferme, dentro, fuori, dentro, fuori, si viveva il percorso sul mare come una piccola crociera, osservando specie le persone con curiosità, tanto che si facevano amicizie, una volta con un tedesco, una volta con un austriaco (Heinz Kienast di Vienna) sfruttando le poche parole di inglese che qualcuna di noi stava imparando alle Medie: insomma, eravamo proprie ragazzine vivaci e mettevamo allegria.

martedì 23 ottobre 2012

Finì così la storia, in un soffio, come doveva essere a quell'età, ma era successo a me e ne ero contenta anche se sull'autobus, al ritorno, qualche ragazzino fece delle considerazioni sul fatto che avevo parlato (?) con i tedeschi; eh sì, dalla guerra non erano passati poi tanti anni, nelle famiglie e molto anche nella mia si raccontavano le angherie subite in quel periodo ma come può una ragazzina di 12 anni rifiutare un sorriso o una parola? Beh, basta, ne ho parlato anche troppo, so soltanto che pochi giorni dopo furono separate da fili e muri le due Gemanie e io per diversi mesi raccontai su un diario le mie giornate scrivendo: caro Hans.

venerdì 19 ottobre 2012

Io non sapevo una parola di tedesco, lui niente o quasi d'italiano, si comunicò con gli occhi, poi lui mi prese per mano e mi accompagnò all'interno del traghetto dove, seduti sulle poltrone, c'erano i suoi genitori e un giovane uomo con una giovane donna. Il padre lo ricordo molto affabile e cominciò a parlarmi in latino! Ma ancora ne sapevo poco, poi si aiutava con i gesti e riuscii a capire che magnificava il volo dello Sputnik nello spazio, forse bevvi con loro un'aranciata. Mi sembra ancora una cosa molto strana tutto quanto era accaduto alla mia prima uscita lunga, eppure andò così, in quei pochi quarti d'ora avevo vissuto in una specie di bolla che mi aveva isolato dagli altri. Il traghetto però arrivò a Piombino, dovetti andare con gli altri ma, prima, Hans mi sfiorò la guancia con un bacio. 

giovedì 18 ottobre 2012

Una delle gite più belle perchè inaspettata fu quella dell'isola d'Elba dove fui mandata all'ultimo minuto perché uno dei miei fratelli non poté. Naturalmente c'erano una zia e una cugina iscritte nell'elenco dei gitanti. Doveva essere il '61, primi giorni di agosto, un vestitino leggero cucito in casa o dalle sartine della corte, un bellissimo cappello in testa, giallo, al collo una catenina d'oro con un bellissimo ciondolo ovale: dentro una madonnina con manto azzurro e bimbo in collo. Del viaggio di andata in autobus non ricordo niente e quasi niente nemmeno del traghetto, che pure era la prima volta che prendevo, il ritorno però mi riservò una bellissima sorpresa. Mentre stavo affacciata al parapetto del traghetto a guardare il mare si avvicinò un ragazzo biondo, occhi azzurri e si mise alla mia sinistra, così ci fu un gioco di sguardi per qualche minuto, poi Hans, questo era il suo nome, prese tra le dita il ciondolo della mia catenina e disse: Madonna?, Maria? tu? Ero confusa ma dopo un pò capii che voleva conoscere il mio nome...

lunedì 15 ottobre 2012

Una gita che annualmente veniva fatta dal prete era a Montenero e le prime volte i bimbi erano accompagnati da mamme o zie. La cosa più difficile era distogliere i bimbi dalle bancarelle che vendevano di tutto, richiami e tirate di braccia si sprecavano ma a volte qualcosa restava attaccato alle mani, e si sperava non fosse la formellina con su scritto:"A Montenero andai a te pensai questo ricordo ti portai". Magari sarebbe andata  bene qualche stringa morbida di liquirizia (si diceva regolizia?) o un biberon di liquido dolciastro e colorato oppure una sospirata girandola ma spesso ci dovevamo accontentare della gita e basta e non eravamo bimbi capricciosi, dopo un pò ci si calmava. Una cosa che al santuario di Montenero si poteva vedere erano gli ex-voto. Quei disegni, quei quadretti, quegli oggetti lasciati in ricordo di dolori e tragedie patite e superate mi attraevano e sgomentavano al tempo stesso, specialmente se riguardavano bambini.

mercoledì 10 ottobre 2012

Una delle cose più belle di queste piccole gite era stare sul pullman, salire e scendere sugli scalini, trovarsi velocemente un posto vicino al finestrino e accanto a un'amica, guardare scorrere case e alberi, insomma il percorso pur breve era importante. Qualche volta siamo andati in pullman al Santuario di Santa Gemma che è sulla circonvallazione! ma erano comunque spostamenti e allontanamenti dalle cose consuete, che restavano fisse nella corte ad aspettarci. E questo permanere delle cose, dell' ambiente di vita ci rendeva sicuri, si poteva partire e ritornare, non c'era pericolo.

martedì 9 ottobre 2012

Le gite del prete
Una delle gite, beh, gitarelle diciamo, che si facevano, bambini e bambine che andavano alla dottrina, era quella a Viareggio, non ricordo se andavamo anche in qualche chiesa ma certamente ho in mente la spiaggia e il mare dove avevamo il permesso di bagnare i piedi e farli poi asciugare tra la sabbia con l'aiuto del sole. Che sensazione poter mettere i piedi nell'acqua levandoci le scarpe, e, naturalmente, era forse un pò fuori stagione, urlavamo a quel contatto freddo e si rideva. Le beate ci accompagnavano e stavano attente ai nostri comportamenti e aiutavano chi stentava a ripulirsi i piedi e a rimettere calzini e scarpe. Si andava nel primo pomeriggio, dopo mangiato, mi frullava lo stomaco dall'impazienza, salivo e scendevo le scale con frenesia e mia madre, una volta, minacciò di non mandarmi ma non mise in atto la minaccia. Per molto tempo alla parola mare ho collegato Viareggio e piedi nell'acqua.

lunedì 8 ottobre 2012

E il 14 settembre ci portavano alla fiera in piazza S.Michele. Ma ognuna per conto suo, con la sua mamma o con nonne e zie. Da molto piccola non mi piaceva, ero frastornata dalla confusione, da tutta quella gente che se non stavi attenta ti potevi perdere e anche da quei palazzi che vedevo così alti e incombenti. Ma c'erano anche consolazioni: il frate del Nelli, dolce e croccante che finiva in un attimo e, soprattutto, le collane di nocciole. Tutte le bimbe ce l'avevano al collo, la sera, e le portavano come un gioiello senza osare spaccare quei meravigliosi frutti marroncini lucidi. Ancora la sera tiepida ci permetteva di uscire in corte, dopo cena, e la scuola allora cominciava il primo di ottobre, ancora avevamo giorni felici davanti e prima di tornare ad essere rinchiuse nelle aule troppo grandi, prima che il tempo iniziasse a mandare acqua dal cielo, come a un comando, un giorno ci sedevamo vicino a uno scalino o sul murìcciolo e con un martellino, piu spesso con un sasso, si aprivano le nocciole e si gustavano come a dire addio all'estate.

domenica 7 ottobre 2012

Scoprimmo ben presto i "calcinculi", e "le macchinine che si battono insieme", le autoscontro, insomma: eravamo ragazzine, in quel tempo che ci rende un pò sciocchine, che ci spinge a ridere di niente e di tutto, quel tempo leggero che contiene ancora la bimba ma che schiude il futuro, che ci rende ritrose e sfacciate e che rende reali sogni e fantasticherie, un tempo rischioso se vissuto da sole, ma noi eravamo tante e sempre insieme. Così qualche volta andammo alle giostre senza adulti e volammo libere sui "calcinculi" spingendoci sempre più in alto per strappare il fiocco (eravamo molto brave) e guidammo le macchinine cercando di evitare gli scontri ma contente amche delle botte che si prendevano, tornando a casa con ginocchia contuse e colpi in testa contro l'asta.

sabato 6 ottobre 2012

Quando si andava sul Fiume, naturalmente, ci accompagnavano le mamme o le zie, mai da sole, solo i maschi trasgredivano a volte l'ordine, ma di questo ho già accennato. Voglio invece dire dei Cavallini, così si chiamavano le giostre che deliziavano il nostro settembre."Oggi si va a'ccavallini". I Cavallini erano fuori Porta Santa Maria, su erba e ghiaino, vero paese dei balocchi: banchetti con frati, croccanti, lupini, stringhe di liquirizia, cialde, cocco, collane di nocciole e spesso si trovava il cocomero, certi cocomeri grossi, tondi che venivano affettati con lunghi coltelli facendo vedere, prima, il colore e intuire la fragranza eseguendo un tassello che i venditori estraevano e mostravano sorridenti. Ma, insomma, dicevo i Cavallini, quelli erano importanti, il resto era il contorno. Da proprio piccoline ogni mamma accompagnava i figli che, a dire il vero, sembravano quasi statuine su quelle macchinine, aeroplanini, cavallini (tutto in ini) e anche stupiti e in qualche modo impauriti ma bastò qualche anno in più e tutto cambiò...

venerdì 5 ottobre 2012

Beh, dovrò ritornare senz'altro su questo argomento, su quel periodo che cambiò tutto intorno alla corte e che sciupò irrimediabilmente l'acqua della fossa.
Ora voglio raccontare gli spostamenti più lunghi, quelli che facevamo accompagnati dai grandi e che ci portavano, ad esempio, una volta l'anno, alla Polla del Bongi. Eh, sì, una mattina con qualche mamma e una bicicletta per uno, ai piedi zoccoletti, vestite leggere, abbastanza presto per tornare a casa all'ora del mangiare, si partiva per la Polla. Era un percorso lungo, a me sembrava, da via di Boboli si arrivava sullo Stradone e si attraversava dal Chiasso per arrivare sulla via Pisana: da lì via verso ovest fino alla Giorgia (uno dei pochi ristoranti della zona), si entrava poi in una strada che andava a sud e attraversava il ponte sull'Ozzeri che ci dicevano fatto dagli Americani finita la guerra, ci piaceva il rumore che si faceva passando su quelle tavole. Poi una discreta salita ci portava fino a uno spiazzo dov'era un lavatoio, e qualche casa un pò nascosta e lì si posavano le biciclette per finire il percorso a piedi. Una camminata su pietre e ciottoli resa ardua dagli zoccoletti ma noi bimbe come caprette si arrivava alla sorgente prima delle mamme. Si beveva quell'acqua che veniva espulsa velocemente con grandi risate, si beveva e si restituiva, le mamme si sedevano e continuavano a bere, al massimo qualcuno ne prendeva un fiasco da portare a casa ma ci dicevano che bisognava berla lì, a casa non avrebbe avuto lo stesso effetto.

mercoledì 3 ottobre 2012

Già, la corsa al cancellino...la chiusura di pezzi di corte, che erano serviti per i lavori di tutti, le aie dove gli adulti spargevano grano, granturco, dove vagliavano fagioli secchi con stacci adatti, dove si vedevano tavole lunghe e sottili ricoperte di conserva; dove i bambini potevano inventare tutti i giochi del mondo con niente, dove i vecchi si riposavano e parlavano con chi passava seduti su sedie di cucina, cominciò ben presto: il lavoro dei campi non lo faceva più nessuno, le aie della corte non servivano più , i bambini erano cresciuti e se ne andavano a scuola a Lucca o a lavorare, i vecchi trovarono riparo nella televisione, insomma le case che erano nate attaccate si separarono e ognuno fece il suo giardinetto circondato da reti e cancellini. Noi, ormai adolescenti non ce ne curammo, eravamo occupati in altri pensieri, ormai l'età felice l'avevamo attraversata.

martedì 2 ottobre 2012

Un altro pericolo che ci spinse ad evitare questa casa in costruzione era la buca della calce, più che buca a me sembrava una specie di piscina, piena di una sostanza liquida piuttosto densa, bianca, e ci dicevano di non avvicinarsi che ci si poteva bruciare; i maschi erano più coraggiosi e si avvicinavano tirando qualcosa dentro e la calce sembrava ribollire, faceva proprio bolle come quando si faceva la polenta. Un mistero per me questo ribollire senza fuoco. Per noi bimbi la costruzione della casa dei Borelli fu un avvenimento che ci permise nuovi giochi e sfide ma non capimmo che sarebbe iniziato il saccheggio dei campi, l'apertura di nuove strade, l'asfaltatura della via che conoscevamo in ogni buca e la corsa al cancellino.

lunedì 1 ottobre 2012

Una delle prime case che venne costruita in questa parte di strada fu quella dei Borelli, davanti all'orto di Dantina e Fedora e alla felice casa dei Giangrandi.Per noi della corte fu un avvenimento gradito che ci permetteva nuovi tipi di divertimento, tutto il materiale da costruzione poteva costituire mezzo per giocare. mattoni, ghiaino, soprattutto rena (si diceva rena, non sabbia) e quando i lavori arrivarono al primo piano ci trovammo di fronte a un vera e propria tentazione: davanti alla grande porta-finestra a sud c'era una base rettangolare piuttosto ampia per un terrazzo. Quando la sera andavano via i muratori noi salivamo le scale ancora grezze e ci si affacciava al terrazzo, proprio sotto c'era un grande mucchio di rena, non senza paura si prendeva la rincorsa e ci tiravamo giù, ad occhi chiusi ed era un volo incantevole, una sensazione di libertà e di sfida, l'atterraggio un pochino duro, a dir la verità, ma non ci siamo mai rotti niente. Questo "gioco" finì quasi subito perchè qualcuno dalla strada ci aveva visto e istruito sui pericoli corsi.

sabato 29 settembre 2012

Questo slargo all'incrocio di via Vecchi Pardini con via del Tiro a Segno era molto importante e poi ne parlerò; ora torno indietro, verso casa, verso ovest e dopo Musolino trovo due case e più scostata dalla strada una corte. In un delle case abitava una donna dell'età di mia madre e di Dantina e la ricordo perché veniva spesso a Fibbiani: una donna non tanto alta, di nome Flavia, capelli sul rosso e anche la pelle sembrava concordare, quasi un'abbronzatura continua su volto e braccia, un volto tranquillo, sorridente e simpatico. Doveva essere amica di Dantina, ma chi non era amica di Dantina? e quando passava dalla via si fermava a parlare. Non ricordo quasi altro di lei, solo che aveva una sorella suora. Nella piccola corte (aveva un nome?) abitava la famiglia Rindi con due bei giovanotti e una figlia di nome Fiorella.
Dopo la fogna del carburo c'era la villa dei Cinquini ma la cancellata la rendeva un'isola difficile da esplorare, una serie di campi separava la villa dalla mia corte, non c'erano affatto case, solo campi e orti, come quello di Arturo e Italia. Questo pezzo di strada forse è il più irriconoscibile e cominciò a cambiare quando eravamo ancora bambine.

venerdì 28 settembre 2012

Continuando verso il Cantone, dopo la villetta costruita abbastanza presto, c'era una casa con cortile chiuso abitata da una donna con un bel viso aperto e capelli bianchi ma non vecchia, mia madre la salutava ma ora non ne ricordo, accidenti, il nome; da lì attraverso uno stretto stradello si entrava in una corte ma io non ci passavo mai, proseguivo sulla strada che si restringeva avendo da un lato la casa della bella Marisa e dall'altro Musolino che è stato bar, osteria, e altro ancora e poi casa di abitazione. Una serie di case attaccate portava al Cantone, bivio tra via Vecchi Pardini e via del Tiro a segno e caratterizzato da una statua di Sant'Antonio chiusa in una piccola edicola che veniva illuminata e decorata con fiori ogni 13 di giugno. Lì la strada faceva uno slargo e la sera di quel giorno (che era anche il compleanno di mia madre) si andava, in discreto numero, sul Cantone e si dicevano preghiere rivolte al santo perché facesse grazie a chi ne aveva bisogno.

giovedì 27 settembre 2012

Ma ora devo fermarmi davanti a casa di Doriano perché un ricordo lontanissimo mi mette davanti agli occhi una scena magica e paurosa: per mano a mia madre tornavo, forse, da fare qualche spesa, era quasi sera, a ovest c'era ancora un pò di luce. Alcuni ragazzi erano ritti su una fogna murata. Questa costruzione sparì prestissimo, ne ho solo quell'unico ricordo. Dicevo quei ragazzi ritti e vocianti stagliati sul tramonto, quasi figurine nere, in mano dei bastoni?, forse qualche barattolo pieno d'acqua?; la superficie della fogna era gialla di una polvere che, poi mi dissero, si chiamava carburo e io vedevo dei lampi di luce e sentivo dei forti schiocchi: una paura! Ma fu questa la prima e ultima visione, era passato il tempo di quei giochi e anche di quella polvere. Ieri sera, leggendo un libro di un autore svedese ho trovato questo: "Ricordo le lanterne a carburo. L'orrendo sfrigolio un pò minaccioso quando il carburo sul fondo della lanterna si mescolava con l'acqua, e la luce bianca e spietata che potevano emettere." Io non ho mai visto lanterne a carburo, nelle case tutti avevamo la luce elettrica ma abbiamo avuto entrambi una sensazione di paura e minaccia,  Lars Gustafsson in Svezia, io a Lucca.

mercoledì 26 settembre 2012

Verso Musolino
Sulla via Vecchi Pardini, dalla corte a Musolino si andava verso est e s'incontravano paesaggi e persone in quel breve tratto di strada. La via era, naturalmente, sterrata e costeggiava, a destra, l'orto di Dantina e Fedora, la felice casa dei Giangrandi con la rosa mai scordata che copriva un cancello, ancora campi e poi la casa della mia maestra, alta, circondata da una cancellata ricoperta, a primavera, di roselline a mazzetto di colore rosa, profumate, che raccoglievamo per fare le fiorite per le processioni. Accanto alla casa della maestra ma separata da un campo con un noce alto e un grande cancello aperto che forse ho superato una sola volta abitava una famiglia di parenti di Dora la Tintina tra cui due giovanotti (ricordo solo il nome di uno di loro: Doriano). Sempre da quel lato della via fu costruita, molto presto una villetta e non mi viene in mente cosa c'era prima...

lunedì 24 settembre 2012

Adesso non ci sono più, non campi di grano, papaveri e fiordalisi, non fognaccia, non maggiolini che volano attaccati ai fili delle canne da pesca, non bambini che regalano fragole e nemmeno bambini e bambine scalzi che giocano sull'erba o sulle fosse e non c'è più neanche il luogo che ho messo come destinazione di quel percorso, non c'è più Pannero, distrutta, eliminata, rasa al suolo ma io ricordo: il pollaio con la rete sormontata dai Fiori della Passione, lo stradello tra le viti che percorrevo per andarci, la casa di Fedora,  la cucina piccola con le scale che recavano alle camere, il grande salone col pavimento di mattoni rossi dove abbiamo ballato con i ragazzini per la prima volta, il sole che illuminava le due capanne a nord, e le persone che lì abitarono per tanti anni.

sabato 22 settembre 2012

Il campo che si riempiva di grano, papaveri e fiordalisi fu poi deposito di paloni dell'Enel ma in fondo, verso sud rimase uno spazio con residui delle vecchie linee, ferraccio, altri oggetti che non so nominare. Lì andavano soprattutto i maschi ma era troppo interessante per lasciarlo soltanto a loro, così qualcuna di noi si avventurava, cosciente di essere minoranza, spinta specialmente da un grosso manufatto di ferro che si stava arrugginendo che aveva una struttura perfetta per fare le giravolte, sotto c'era erba che attutiva le eventuali cadute (che c'erano, e di schiena). Un giorno di sole, mi sembra tre di noi, ci incamminammo verso la struttura che era, però, già in uso ai maschi, tra i quali ricordo Piero Tapa. Si misero certo d'accordo e, troppo facilmente, ci cedettero il posto, poi quatti quatti se ne andarono a rifornirsi di "ghiove", proiettili di terra, e cominciarono a tirarle verso di noi che rimanemmo prigioniere: si poteva scappare soltanto passando davanti a loro e non lo facemmo. Tutte terrose e urlando di smetterla si rimase lì a prenderle finché qualcuno, forse Dantina?, non li spedì lontano.

venerdì 21 settembre 2012

Prima delle case Mencacci ma sulla sinistra andando verso Pannero c'era il campo di Dantina, più lungo che largo, e un altro campo che ho visto pieno di grano (buoni i chicchi quasi pronti, un pò verdini e teneri) papaveri e fiordalisi, una sinfonia di colori depositata negli occhi, la bellezza della natura agganciata alla mente. Dantina lasciava il suo campo a fieno e quando lo falciava il profumo rimaneva nel naso e ci piaceva rotolarci sopra, ma non si poteva "aggiaccare" il fieno. I movimenti di Dantina con la falciana, così si chiamava lo strumento, erano armonici e seguivano un ritmo: le mani tenevano il lungo manico e muovevano le braccia in parallelo da destra a sinistra recidendo la base delle erbe. Quando l'erba era stata al sole tutto il giorno veniva raccolta, con la forca, in mucchi e il giorno seguente sparsa di nuovo al sole. Se c'era rischio di pioggia i mucchi venivano coperti in qualche modo e mi ricordo Edilia (sensibile ai cambiamenti del tempo) che urlava: Dantina, va a "piove'", cammina!

mercoledì 19 settembre 2012

Verso Pannero, dopo le case dei Mencacci, quasi al bordo della strada c'era la Fognaccia. Non so perchè avesse quel peggiorativo. La Fognaccia era una costruzione di mattoni, un parallelepipedo con chiusura un pò a cupola, non veniva più usata e noi spesso si andava lì, si saliva, si scendeva, si saltava giù nei prati intorno a cogliere margherite. In una fotografia siamo ritratte sedute nell'erba con vestiti leggeri ma eravamo già ragazzine. Celebre in casa mia era la frase: O Neo, o Neo, ma ci si va alla Fognaccia? che mio fratello Alfonso pronunciava spesso rivolgendosi al Magni, forse una volta anche in un sogno perché sognava spesso a voce alta. Il posto era bello e si poteva giocare lontano dagli occhi della corte. In quei prati quando c'erano anche i maschi ho fatto volare maggiolini attaccati a un filo trasparente ma avevo una certa paura per il rumore stridente che facevano quelle povere bestie.

martedì 18 settembre 2012

Verso Pannero
Questo era uno spostamento non proprio quotidiano ma andavamo in quella zona da sole, senza accompagnamento di adulti. Prima di arrivare a Pannero, per un certo periodo (mesi?) una villetta era abitata da un ragazzino di nome Marco che era, mi sembra, figlio unico, e abitava lì provvisoriamente al seguito della famiglia (non so che lavoro facessero il padre e la madre). Forse, passando dalla strada il ragazzino ci vide, dal giardino di fronte a casa, forse ci salutò e anche noi lo salutammo, fatto sta che diverse volte siamo andate in quella casa a giocare, eravamo mi sembra in tre. Marco era molto gentile e calmo, diverso dai nostri amici di corte; una volta ci portò in casa e, scesi alcuni scalini, entrammo in una grande stanza piena di giochi, con un tavolo dove lui aveva disposto il Monopoli. Mah, che gioco era quello? Nessuna di noi l'aveva mai visto e, a parte tirare i dadi, che ci sembrava simpatico, comprare e vendere case e palazzi ci sembrava insolito e noioso. Non si giocò più con quel gioco, lui si rese conto del nostro imbarazzo, ma ci divertimmo molto coi tappini delle bibite dove avevamo attaccato i migliori ciclisti del tempo: io avevo Magni, mi sembra di nome Fiorenzo. La pista era il perimetro della casa, liscio e ideale per far scorrere i tappini. Un ricordo molto tenero che ho di Marco è il dono che mi fece di una delle prime fragole del suo giardino: mi fece sentire una regina, perché mi aveva scelta. Molto presto non lo vedemmo più, si era di nuovo trasferito.

lunedì 17 settembre 2012

Piccoli spostamenti quasi quotidiani dalla corte
Il nostro spazio quotidiano era la corte, erano le case, le capanne, il pratino, il murìcciolo, la fogna su via Boboli ma ci spostavamo spesso da questi confini, poco più in là, certamente, a tiro di voce delle mamme ma comunque ci sembrava di andare lontano evitando gli occhi della gente, senza adulti intorno (non che ne fossimo coscienti). Un posto era la fossa, acqua pulita, con erbe e piante verdissime che nascondevano girini e bignatte: in genere la raggiungevo da uno stradello dietro la casa di Elvira ma si poteva andare anche dall'orto di Edilia che però aveva un cancellino. Ci mettevamo a sedere sui bordi o sulla tavola di legno di Adolfo con i piedi che sfioravano l'acqua e restavamo a guardare il suo scorrere, i giochi che faceva con le erbe lunghe e serpentine, il rumore leggero, la sua trasparenza. Attraversata la fossa (che qualche volta si saltava con un bel bacco prendendo una lunga rincorsa) si percorrevano campi interrotti da piccoli fossi e delineati da rari salici (che sapore le foglie masticate) e giocavamo coi fiori: margherite per collane e braccialetti, pappi di piscialletto da soffiare. Qualche volta da sole si arrivava al Fossetto ma soltanto per bere e tornare veloci verso la corte.

giovedì 13 settembre 2012

Leonetto
Eh, sì, Leonetto era un gran lavoratore, era l'unico dei Mencacci a continuare la tradizione dei contadini, tutti gli altri avevano lavori diciamo sedentari, senza collegamento con la terra, lui no, bisognava vederlo quando  raccoglieva il fieno, quando arava i campi, quando concimava per avere verdure forti e gustose, insomma Leonetto era tutt'uno con i suoi attrezzi e col suo trattore, sempre scuro di sole e solido come una roccia, sempre nei suoi campi dietro casa, a nord, verso il fiume. Non ricordo di averci scambiato molte parole perché non c'era mai nella corte, vedevo invece spesso la moglie Zelinda che passava in bicicletta per andare a far la spesa e si fermava a salutare. Leonetto e Zelinda avevano due bei figli, Francesco, della mia età, e Michele (Michelino) più vivace ma ancora troppo piccolo per giocare con noi. Sui mucchi del suo fieno mi sono tirata tante volte, il suo profumo veniva assorbito dalla pelle, dai vestiti dove ne rimanevano fili lunghi da attorcigliare alle dita come anelli. Non c'è quasi niente di più buono dell'odore del fieno.

martedì 11 settembre 2012

Il Gigliucci
Anche lui, come il Torselli, veniva chiamato per cognome. Il suo nome era Giulio ma raramente veniva chiamato così. Non molto alto, magro, sempre ben vestito, lavorava a Lucca, mi sembra come meccanico dentista. Si spostava spesso in bicicletta anche quando era già in su d'età e una volta che lo vidi in Piazza S.Michele proprio in bici mi disse che finché avesse potuto si sarebbe spostato così perché a piedi per lui era difficoltoso. Da molti anni non lo vedevo ma fu come lo avessi visto il giorno prima, le parole scorrevano con semplicità.  Era sposato con Lida e aveva due figlie: Rosanna e Virginia e viveva in una casa grande, con stanze ampie (misuravo la grandezza sulla mia casa che effettivamente era molto più piccola). Per qualche tempo viveva lì anche Truccio e a periodi veniva Jolanda. Il Gigliucci aveva le idee di mio padre e del mio zio Oreste e con loro spesso si fermava a parlare.

domenica 9 settembre 2012

Dora (la Tintina)
Dora era piccolina, era soprannominata La Tintina, chissa da dove veniva questo nomignolo. Dora la ricordo sempre a piedi, camminava veloce con piccoli passi, spesso era in ciabatte, come allora usava nella corte. Andava a far la spesa sul Cantone o a trovare i fratelli e le sorelle che abitavano sulla via. Dalla finestra della mia cucina o della camera la vedevo passare, una figurina sorridente. Il marito si chiamava Felice ma io l'ho visto poco; aveva due belle figlie, Luana e Franchina e l'ultimo era Alessandro, sempre chiamato Sandro, della mia età e, diciamo così, piuttosto vivace ma per i maschietti di quell'età, netta minoranza nella corte, c'era il problema di emergere e di farsi valere.

sabato 8 settembre 2012

La Meri e la Geni
Chissà perché,  ma la Meri la ricordo sulla porta di casa. Rispetto alla sorella (la Geni) era molto più sedentaria, stava in casa e badava al Torselli e a Carla, l'unica figlia che faceva la sarta. Meri era già bianca di capelli, un viso fresco, però, che portava due occhi chiari e sorridenti, non l'ho mai sentita litigare né alzare la voce. Mia madre diceva che la Meri stava come un bicchierino sciacquato, attenta a tutti i venti perché era delicata di salute e questo veniva attribuito al parto (una cosa di molti e molti anni prima se era stato quello per mettere al mondo Carla). La Geni, al contrario era sempre in movimento, lei abitava al Magro e si spostava con la bicicletta, ecco io vedo la Meri immobile sulla soglia di casa e la Geni in bicicletta: una ferma, l'altra in movimento. Di queste due donne potrebbe dire molto di più Lucia Rosa: erano le sue zie.

venerdì 7 settembre 2012

Donne e uomini andavano tutti in bicicletta: era un mezzo di trasporto universale e da molto piccoli i bambini la ricevevano in regalo, quella con le "rotine", ma in poco tempo queste venivano tolte perché i bambini non volevano essere di meno rispetto ai più grandicelli. Per qualche giorno provavano e si sbucciavano ginocchia e gomiti ma si rialzavano e riprovavano fino allla riuscita. I babbi e le mamme aiutavano un pò tenendo il sellino ma a volte facevano finta. Edilia, però, non aveva mai imparato, non so perché, ad andare in bicicletta e si sa che queste sono cose da imparare da piccoli. Col tempo maturò l'idea che avere un mezzo di trasporto come la bici poteva tornarle utile per spostamenti più lunghi, così, verso sera (perché la vedessero in pochi) si avventurava per le strade vicine, che erano, lo sapete già, prive di auto in marcia e provava a domare quel mezzo che si dimostrava ostile. Ricordo solo che lividi, sbucciature, malleoli sanguinanti la convinsero a desistere dall'impresa e nelle sere d'estate si sentivano le donne sganasciarsi dalle risate ai suoi racconti che non so narrare perché allora ero più impegnata nel gioco della cavallina e negli sculaccioni.

giovedì 6 settembre 2012

 Quanto accaduto poi al ristorante mi porta ancora oggi il sorriso sulle labbra tutta le volte che vedo un pollo arrosto. Non so che ristorante fosse ma certo uno noto a quei tempi e non so cosa avesse ordinato per primo ma per secondo c'era di sicuro il pollo e, naturalmente alla signorina Edilia fu offerto il coscio. Beh, a casa si sarebbe afferrato con le mani e gustato ma lì la cosa era differente: forchetta e coltello dovevano intervenire ma in maniera delicata a tagliarne bocconcini da mettere graziosamente in bocca. Edilia ci pensò su e afferrò gli strumenti ma al primo tocco il bel coscio arrostito prese il volo e se ne andò dal piatto al pavimento. No, no, caffè Pfanner e ristoranti famosi non erano fatti per Edilia!

mercoledì 5 settembre 2012

Edilia
Grassoccia, viso fresco sempre sorridente, non si era sposata e viveva da sola nella sua grande bella casa. Quando ascoltava raccontare lo faceva come se bevesse le parole e intercalava il suo ascolto con diversi " O té, o té" a significare il suo stupore nell'apprendere le novità delle persone e della corte. Edilia aveva paura dei temporali, specialmente dei tuoni e qualche volta se scoppiavano di notte Dantina andava a farle compagnia; con Dantina era come con una sorella. Quando la vera sorella si era sposata con un signore che l'aveva portata in una bella villa poco lontana, sullo Stradone, aveva dovuto mostrarsi un pò più "signorile", andare qualche volta a teatro, prendere un caffè da Pfanner, recarsi al ristorante.. Ma non erano proprio cose per lei che si sentiva, diciamo, un pò a disagio.
Il caffé da Pfanner l'andò a prendere con la Geni, si sedettero compunte e ordinarono i loro caffè al cameriere e quando questo ritornò con l'ordinazione cominciarono a guardarsi sgomente: sul tavolo c'erano, sì, due caffè ma anche due bicchieri d'acqua che non avevano ordinato! Non sapevano cosa fare, erano in ansia e alla fine chiamarono il cameriere: Scusi, sa, i due bicchieri d'acqua non li abbiamo ordinati.
Non mi sono note la reazione e la faccia del cameriere perché a questo punto le risate scuotevano la corte.

lunedì 3 settembre 2012

Adolfo (Naso)
Adolfo era nonno di Beppino di Leda, padre di Carlo, il falegname che fu ucciso in un incidente mentre tornava dal lavoro con la sua motocicletta. Adolfo quindi era vecchio, alto e dinoccolato, di poche parole e, direi, triste, non aveva proprio niente da ridere. Era stato ed era contadino, i contadini non andavano in pensione. Il pratino davanti casa si chiamava il pratino di Adolfo, e lì c'era anche il pozzo di Adolfo.Adolfo aveva una stalla sul retro della casa con tante gabbie di conigli e porcellini d'India e aveva i campi sopra (cioè a nord) la fossa che poteva attraversare con una tavola lunga che poi ritirava. In quei campi coltivava un bell'orto con pomodori e altre verdure tra le quali i cavolfiori. Questo lo ricordo bene perchè noi bimbe e bimbi andavamo spesso in quei campi e ci divertivamo a passare sulla tavola di corsa (a volte cascando nella fossa se qualcuno, vero Lolle?, la muoveva o la tirava. Beh, quell'anno erano cresciuti dei cavolfiori bellissimi e aprendo le foglie si potevano vedere quelle palle bianche che erano gustose, specialmente crude. Cosa facemmo si può intuire; capimmo poi il danno che avevamo fatto quando Adolfo ci inseguì per un lungo tratto e non potendoci raggiungerci perché allora si volava ci requisì le biciclette e per qualche giorno restammo in casa in castigo. Di Adolfo ricordo il carrettino strano sul quale disponeva le verdure da portare al mercato di Lucca: una disposizione precisa, per forme, colori e grandezza che mostrava l'amore per il suo lavoro e il rispetto per i frutti dell'orto.

domenica 2 settembre 2012

Boschino
Si chiamava Antonio, Tonio,  ma quasi tutti lo chiamavano Boschino e mi sembrava che lui non fosse molto contento. Era il nonno di Marisa e Paola e viveva con loro e con il Frati. Prima abitavano vicino a Edilia, nella parte di corte dove facevamo lo sculaccione estivo, dopo andarono nella casa dove avevano abitato Enzo, Irene e la figlia Bernardetta cioè in una porzione della casa di Elvira. Era già vecchio e aveva certo fatto il contadino e si raccontava di un carretto che forse si era rotto perché aveva le stanghe di fico, di legno tenero e così noi si sentiva dire dai ragazzi "Boschino, hai il "caretto" con le stanghe di "fio"!" e non c'era altra cosa che lo facesse arrabbiare tanto. Era amico/nemico di Adolfo (Naso) e si litigavano amichevolmente.
Boschino quando la sera sedevamo sullo scalino di marmo della casa a chiacchierare ci diceva che da grandi avremmo avuto i dolori. Aveva un orologio da taschino di cui era molto orgoglioso e lo guardava spesso; quando suonava l'ora del campanile della chiesa di Sant'Anna controllava che fosse giusta, cioè che fosse uguale a quella segnata dal suo orologio.

venerdì 31 agosto 2012

E con settembre racconterò le persone della corte, cominciando dalla parte sud, quella che era separata dal fiume da una distesa di campi, dalla fossa, dal Fossetto, dai poggi alti e erbosi.
Elvira
La ricordo dritta con un grembiule davanti e le mani sui fianchi, forte, con un sorriso aperto, i capelli raccolti in una crocchia, autorevole e attenta alle cose e ai bambini che spesso giocavano nell'aia davanti alla sua casa e picchiavano la palla sul muro ripetutamente.Soltanto un periodo impediva ai bimbi di giocare, quello della malattia di suo marito Lorenzo, allora bisognava fare piano, ma questo si sapeva già dalle nostre mamme. Elvira veniva anche chiamata "la Fattora" per quel suo carattere forte e per abitare nella casa più grande della corte con un'aia dove veniva la macchina del grano. Tre belle figlie, Anna, Loda e Mariangela e un figlio che se ne andò in America e viveva alle pareti della stanza sul retro in un quadro che ne disegnava il bel viso: Alfonso. Alfonso si era fatto laggiù una famiglia e tardava a tornare, così Elvira, verso gli ottant'anni, decise che sarebbe andata lei a trovarlo e così prese l'aereo e si fece quel lungo viaggio. Essere capaci di prendere decisioni e seguirle con coraggio e senza tentennamenti: questo è l'insegnamento che ho avuto da Elvira.

giovedì 30 agosto 2012

Quelli che chiedevano l'elemosina
Non ne ricordo molti, forse uno, vecchio ma non malmesso, veniva verso mezzogiorno, l'ora di pranzo e non occorreva che bussasse, le porte erano aperte ma non entrava, forse veniva in giorni precisi del mese e se ne andava via col pane. Una volta Dantina diceva a mia madre: Gli ho dato il pane e non l'ha voluto, si vede che non ha fame. Non si davano soldi ai mendicanti anche perché non ce n'erano tanti e servivano per la vita di tutti i giorni ma il pane sì, e un bicchiere d'acqua non si negava a nessuno.

mercoledì 29 agosto 2012

Altri mosconi venivano generalmente in estate quando, la sera, tutta la corte si metteva fuori al fresco e le ragazze e le bambine sedevano sugli scalini delle porte di casa, sul murìcciolo, ascoltavano con un orecchio solo le storie di paura che raccontavano i più vecchi, giocavano per la strada sotto la luce dell'angolo tra via Vecchi Pardini e via Boboli oppure si riunivano in cerchi, a volte veramente molto grandi, generalmente nello spazio davanti alle case della Meri, di Edilia e di Dora e facevano un bello sculaccione. Naturalmente c'erano i mosconi altrimenti non c'era sugo solo con donne. Questi ragazzi venivano in bicicletta magari dopo una giornata di lavoro (dopo la quinta elementare tutti a lavorare) e potevano conoscere meglio, con sguardi, gesti e parole le ragazze grandi. Mi ricordo che le sculacciate dei ragazzi alle ragazze erano timide e leggere, pochissimi erano sguaiati anche perchè tutto il gioco si svolgeva sotto la supervisione delle mamme che poco lontano, anche se non lo davano a vedere, controllavano tutto.

martedì 28 agosto 2012

I "mosconi"
I mosconi sono insetti noiosi attirati da cibo, frutti, odori,  ma in corte Fibbiani erano quei ragazzi o giovani uomini ("giovinotti" diceva Fedora che chiamava così anche quelli che a me sembravano vecchi) attirati, appunto specialmente dalle ragazze che non mancavano. Venivano dalle corti vicine e anche da Lucca ma si potevano osservare anche mosconi più forestieri.
Quando sentivo dire "arrivano i mosconi" non è che capissi bene, d'altra parte i mosconi arrivavano per le più grandi non per quelle piccine, poi col tempo... Il primo moscone che mi ricordo veniva per Anna, la figlia di Fedora e si chiamava "Ti dirò". Mia madre diceva: "E' arrivato Tidirò" e si sentiva cantare. Cosa cantava quell'uomo si può quindi capire. "Ti dirò che tu mi piaci, ti dirò che nei tuoi baci...". Cominciavano gli urlatori. Anna qualche volta usciva, qualche volta no; poi si sposò con Orfeo e andarono in Svezia dove hanno avuto due figli. Anna vive sempre là, l'ho rivista al funerale di sua madre.

lunedì 27 agosto 2012

Minerva
Minerva veniva a ricamare a casa di Dantina che aveva lavoro di ricamo per le donne della corte. Era figlia di Clorinda, era magra, moretta, non bella nel senso tradizionale, simpatica, parlava velocemente quasi strascicasse le parole.
Le donne sedute a cerchio intorno al caldano sono una fotografia che è rimasta nella mia mente: il calore, la luce accesa nel mezzo della stanza, le voci delle donne che si raccontavano, le mani che si muovevano veloci con l'ago, le sfilature delle stoffe che si riempivano di fili a formare disegni bianchi e colorati su lenzuola e federe e tovaglie. Minerva non era sposata e ha avuto, come tutte, le sue tribolazioni. Mia madre e Dantina la conoscevano bene e spesso, anche se non c'era da ricamare, lei passava a trovarle.

venerdì 24 agosto 2012

L'ortolano
C'erano negozi di alimentari vicini alla corte nella zona di Musolino; ricordo che quando avevo sei, sette anni la mamma di Tecla, non ricordo il suo nome, avendo un orto, vendeva verdure su via del Tiro a Segno poi col tempo sua figlia aprì un vero e proprio negozio di alimentari. Ce n'era un altro poco distante, quello di due sorelle belle e simpatiche e mia madre andava quando in uno quando nell'altro perchè non voleva fare torto a nessuno. Però, dicevo nel titoletto, c'era anche l'ortolano che passava tutte le mattine o quasi dalla corte: un uomo giovane, non molto alto e cicciottello, con capelli mori a ciuffo sulla fronte e chiamava le donne che compravano frutta e verdura e l'ultima domanda era sempre: Li vuole gli odori? Sì, sì, e confezionava un mazzetto con una costola di sedano, una carota, un pò di basilico e prezzemolo che insieme alla cipolla sarebbero diventati uno sfritto per sugo o minestre di fagioli o sarebbero serviti per il brodo di carne. Non si sente più dire "gli odori" e gli ortolani, quando ci sono, si fermano al bordo delle strade più trafficate e vendono raramente verdure del proprio orto.

giovedì 23 agosto 2012

Quelli che nelle sere d'estate tornavano da Musolino accompagnati da moglie e, a volte, figlioli.
Che volete, la vita era dura anche se a noi bimbe non sembrava, e una sera (o più) a settimana gli uomini al bar s'inciuccavano, mica tutti però e mica sempre! Era un modo di sopravvivere a una vita di fatica e poche soddisfazioni e il vino serviva a sgombrare la mente e a portare lontane, per un poco le difficoltà. Ma mentre l'andata verso il bar era agevole, il ritorno, col buio, poche luci, fosse e fossette non lo era altrettanto. La moglie, perciò,  per evitare spiacevoli conseguenze, verso una certa ora si recava verso il bar a riprendere il marito e lo teneva sottobraccio magari aiutata da un figlio ricevendo in cambio parolacce e moccoli che anche noi, sedute a contar le stelle, sentivamo.

mercoledì 22 agosto 2012

Il Moro
Dava un'impressione di forza e vitalità, era moro di capelli e di pelle, abbronzato per il continuo lavoro nei campi che erano tanti e vasti. A torso nudo, muscoloso e snello passava col suo trattore, quasi tutt'uno con quel rumoroso macchinario a volte provvisto di botte nella quale trasportava perugino da spargere nei campi, era sempre sorridente, non mi ricordo fosse uomo di tante parole ma sembrava contento del suo lavoro faticoso. Stava al Magro, in una bella corte abitata quasi tutta o tutta da persone della sua famiglia. Ora, a nord di quell'abitato hanno da tempo costruito un gruppo consistente di case, alte che levano la visione dei campi e delle pioppete del fiume. L'hanno chiamato Ai Magri, chissà perché, io sapevo che di magri ce n'era uno solo. Contadini ne erano già rimasti pochi e vecchi, il Moro era giovane, esprimeva la potenza del lavoro fisico, l'unico altro uomo che lo poteva somigliare era Leonetto.

martedì 21 agosto 2012

La vecchina dell'aceto
Sarà esistita? Eppure veniva nominata spesso. Quando si vedeva una donna piccola, secca, con un fazzolettone in testa a coprire i capelli si sentiva dire: Sembra la vecchina dell'aceto. E anche quando una donna si trascurava e appariva dimessa e un pò triste si usava quall'espressione. Io l'ho vista una volta la vecchina dell'aceto, un donnino magro che era venuta a vendere mazzetti di finocchio selvatico (si usava principalmente per la zuppa e per i deliziosi fegatelli di maiale e nei nostri campi di pianura non si trovava) ma non vendeva aceto. Forse tempo prima l'aveva venduto ma ormai avevamo tutti la madre dell'aceto e in cucina non ne mancava mai un fiasco.

lunedì 20 agosto 2012

O donne, o donne, io son Renatino, la prima fermata la feci a Torino...
Come in un sogno rivedo la scena e la descrivo.
E' il crepuscolo di una sera di estate, il sole è calato ma il suo chiarore rosa ancora permette di vedere, siamo a cena e le luci sono accese, ero certo molto piccola, scendo le scale, penso con mia madre e i miei fratelli, perchè si sente chiamare, salutare, voci che si rincorrono: davanti alla casa di Matilde c'è una luce accesa e tanta gente che saluta Renatino, non ricordo altro che il suo nome e il calore da cui era circondato, non ho visto il suo volto né la sua figura ma ero contenta della gioia che vedevo intorno a lui. Più tardi ho sentito parlare dei Cantastorie ma io non ho avuto l'onore di ascoltarli cantare da piccola, erano ormai fuori tempo.

domenica 19 agosto 2012

Quello della luce
Periodicamente veniva nella corte un uomo ben vestito con un quaderno o registro e entrava nelle case per leggere il contatore. Era quello della luce. La luce elettrica serviva soltanto per illuminare le case ed era fornita da società che si chiamavano Ligure, Valdarno, a me sembrava di sentire spesso dire La Ligure ma non ci stavo tanto dietro. Avevamo nelle case impianti elettrici con fili esterni ed altri aggeggi e degli interruttori a farfalla che si giravano e ti davano il più delle volte la scossa. Specialmente l'interruttore delle scale che preferivo fare di corsa al buio piuttosto che fulminarmi. La luce andava via quasi ogni volta che veniva un temporale e prima di tornare ci metteva del tempo. Se era sera si usavano candele e a me piaceva cenare a lume di candela. Mia madre diceva: La bocca la troverete!. Poi venne l'Enel e ci portò via il campo di grano coi fiordalisi e i papaveri, ci lasciò a dire il vero mucchi di paloni in cemento da salire e scendere e vecchie strutture in ferro arrugginito sulle quali facevamo giravolte, bimbi e bimbe insieme.

sabato 18 agosto 2012

Cenciaio, pellaio....donne!
Passavano anche queste persone, almeno fino a un certo periodo, poi chi volete lasciasse le pelli di coniglio ad asciugare sulle facciate delle case? Io in corte ne ho viste proprio poche ma verso Pannero sì; si vede che là avevano molti conigli.Mi ricordo solo che erano uomini, come si diceva, di una certa età, ma per i bambini i non bambini sono vecchi. Certamente si riutilizzava tutto, non c'era in giro spazzatura nè resti di verdura, andava tutto sul mucchio del pattume di chi aveva un orto o nei pollai di chi aveva galline, il cibo si utilizzava tutto, non ne restava... ma che bellezza!

venerdì 10 agosto 2012

Cugine e cugini
E logicamente con gli zii arrivavano i cugini (non così numerosi per fortuna). Erano anch'essi preziosi, li portavi a giocare e se lo facevano bene potevi vantartene " è mio cugino", "è mia cugina". Se veniva da lontano, e lontano voleva dire oltre Lucca, era una cosa quasi esotica e ti poteva insegnare nuove conte, altri giochi, canzoncine mai sentite. Mi ricordo il fascino di una cugina di Laurina di Nazarena, credo venisse da Coselli, era forse un pò più grande, giocava con noi con la palla contro il muro di Elvira e recitava altre parole, poi ci insegnò a cantare una canzone che diceva così: " Tutti mi dicon Mario ma son Marino, vivo di poesia? e son sincero, ho combattuto tanto sul Monte Bianco per liberar la patria..." continuava poi con la sua bella che l'aveva tradito con un tenentino e concludeva con l'uccisione, mi sembra, di ambedue i traditori. Non ci chiedevamo che battaglie ci fossero state sul Monte Bianco ma cantammo spesso questa canzone che introduceva nel nostro immaginario l'amore e la morte. Insomma i cugini ci aggiungevano interesse e noi ne tenevamo cura.

giovedì 9 agosto 2012

Zie e zii
Ma quanti zii avevamo una volta, e di quale importanza! Le famiglie dei padri e delle madri erano numerose e dovunque ti giravi sentivi la parola zia o zio. Alcune di noi avevano questi preziosi parenti in corte, altre in corti vicine o in altri posti d'Italia, perfino in America. Gli zii ti tenevano a battesimo, ti regalavano catenine d'oro, braccialetti di corallo, anellini con acquamarina, qualcuno ti poteva regalare la cassettina dove mettere soldini da depositare in banca, ti venivano a trovare e tu andavi a trovarli, a volte a mangiare da loro, e com'era buono il cibo solamente un pò diverso da quello di casa tua! Insomma le zie e gli zii erano presenti nella vita dei nipoti e i nipoti lo sentivano, sentivano l'occhio buono su di loro, un occhio meno rigido, a volte, di quello dei genitori. Poi, certo c'erano quelli preferiti, anche se non lo si sarebbe mai riconosciuto, e quelli, quelli ci hanno aiutato a crescere.

mercoledì 8 agosto 2012

I contadini di Pistelloni
Pistelloni era ed è ancora una corte che si raggiungeva dalla via Vecchi Pardini e anche dai campi dietro le case di Fibbiani andando verso ovest. Una corte isolata, a me sembrava lontana e un pò misteriosa. Lì abitavano tanti contadini che producevano verdure di vario tipo e le portavano al mercato a Lucca. Così, d'estate, per raggiungere la città, dovevano per forza passare dalla nostra corte coi barrocci, tre, quattro? non li ho mai contati. Era di notte, quando passavano, si sentiva limpido il rumore dei passi dei cavalli e delle ruote che giravano sulla strada sterrata, un rumore che non mi disturbava anche se già ero a letto. La mia camerina aveva una finestra che dava proprio sulla strada e allora qualche volta mi affacciavo nel buio completo della notte e vedevo le luci delle lampade che illuminavano il retro dei barrocci. Percepivo le voci basse e discrete delle persone che li guidavano, era bello quel parlarsi nel buio. Tornavo a letto e mi addormentavo.

lunedì 6 agosto 2012

Lo zio Oreste
Veniva in corte tutte le domeniche con la sua Lambretta, piano piano, generalmente vicino all'ora di pranzo, a portare L'Unità. Diceva che la Lambretta era più comoda per metterci il borsone dei giornali, si fermava pochi minuti dalle famiglie che compravano il giornale e continuava il suo giro. Non era molto alto, pochi capelli e ben piazzato, un viso aperto e tranquillo, sempre pronto a parlar di politica che era una storia di famiglia. Abitava in corte Pardini con la moglie Bruna e ebbero quattro figlie, un pò si disperava per il cognome che non si sarebbe mantenuto attraverso le figlie. Raccontava volentieri episodi della guerra e della resistenza e si lasciava scappare di aver rotto qualche naso nei mesi successivi al 23 aprile 1945, con un sorrisino di soddisfazione. Era fratello di mio padre ed è stato per me una persona insostituibile.

domenica 5 agosto 2012

Il postino
Non veniva tutti i giorni il postino, con la sua bella bicicletta e con la sua divisa che prevedeva anche un cappellino. Quando arrivava, le donne si avvicinavano e chiedevano. specialmente verso Natale e Pasqua. Allora arrivavano notizie dall'America e con le lettere i dollari dei parenti lontani. Nella corte quasi tutte le famiglie avevano figli, fratelli, sorelle, zii, cugini che erano andati là, in America, si diceva, come se fosse un unico paese, a lavorare e non erano tornati formandosi famiglie proprie ma restando attaccati ai parenti italiani. Non erano certo andati "a scuoter gli alberi", avevano lavorato sodo e ora, nel dopoguerra, mandavano dollari in occasione delle feste.E per parecchi anni mandavano i pacchi. "M'è arrivato il pacco?". Nel pacco stoffe colorate e vestiti confezionati per donna uomo e bambini, di uno stile poco consueto ma le sarte sapevano aggiustarli o rifarli da capo, la stoffa era buona, i colori un pò troppo celestini, rosati, verde acqua e giallini, le fantasie poco fantasiose. Le lettere e gli assegni erano contenuti in buste leggere bianche con gli angoli colorati di strisce blu e rosse e arrivavano, meraviglia di noi bambini,  per posta aerea. Il postino era contento anche lui quando recapitava lettere dall'America e chiamava le donne a raccolta. A volte ritornava anche il pomeriggio per contentarle e loro gli donavano una piccola mancia. Rimase per tanti anni lo stesso, le donne si erano abituate e se qualche volta ritardava si preoccupavano: Oddio, non avranno mica cambiato il postino?

sabato 4 agosto 2012

Fedora
Oh, Fedora, mia bella Fedora...cantava anche nell'ultimo anno della sua lunga vita, se qualcuno gliela chiedeva. Era una canzone, forse una romanza?, dei suoi tempi e ci ritrovava, forse, la sua gioventù.
Fedora si potrebbe considerare di Fibbiani ma abitava in un'altro posto che si chiamava Pannero; si chiamava, perché da molti anni non esiste più, spodestato da casermoni che hanno tolto uno stradello circondato da viti, una corticina con due case e una grande capanna, un pollaio circondato da una rete dove si arrampicava il fiore della passione. Lì abitava Fedora col marito che non ho conosciuto e con tre figlie, Liana e le due gemelle Giuliana e Anna. Fedora la ricordo con un viso aperto, sorridente con gli occhi, una pelle colorata dal sole, una voce particolare e acuta come oggi non si sente più, una speciale fantasia nel creare colorate e delicate imprecazioni. Era una donna indipendente, forse aveva dovuto diventarlo, come tante che avevano perso presto il marito, passato gli anni della guerra, lavorato nei campi. Fedora veniva in corte Fibbiani a trovare la sorella Dantina e a coltivare un bell'orto.A volte se non poteva venire e c'era qualche comunicazione da fare Fedora chiamava la sorella da Pannero e modulava le frasi, Dantina rispondeva da Fibbiani.

venerdì 3 agosto 2012

Il merciaino
Prima, quand'ero molto piccola, c'era stato Gennarino, poi arrivò il merciaino, si vede che in corte garbavano i diminutivi. La stoffa serviva per tovaglie e vestiti in particolare. Tutte le donne avevano in casa la Singer o la Necchi e cucivano o riparavano pantaloni e gonne ma per i lavori più importanti, per i vestiti buoni, i capini, le giacche, i cappotti si ricorreva alle sarte o ai sarti che certo non mancavano. Il furgone piccolo era pieno di rotoli di stoffa di vari materiali e colori e che buon odore si sentiva! Le donne sceglievano la stoffa e la stendevano e tiravano con le mani per sentirne la consistenza, il merciaino la misurava con un metro fisso attaccato al bancone, la piegava e la consegnava. In genere il pagamento avveniva in più volte fino al saldo. Il merciaino era un uomo distinto, ben vestito e molto cortese, con una voce pacata, ascoltava le donne e si faceva un vanto di servirle bene. Dopo qualche anno il furgone diventò più grande e allora portava anche roba confezionata, del resto le donne avevano quasi smesso di cucire, tanto trovavano tutto già fatto nei negozi di Lucca. E poi anche il merciaino aprì un bel negozio sulla Sarzanese e non si vide più.

giovedì 2 agosto 2012

Clorinda.
Quasi sempre di sfuggita, quasi sempre da Dantina, arrivava questa  figurina, magra, capelli bianchi, vestita di nero, un viso quasi sfocato, voce sottile e veloce. Passava di lì e veniva a cercare la figlia Minerva che ricamava federe e lenzuola nella casa di Dantina.Non so quanti anni avesse, per noi era vecchia, ma l'ho vista lavorare di lena in corte, sotto il sole, seduta col suo strumento di lavoro, strano e antico, con un braccio rotondo provvisto di spunzoni e che si muoveva avanti indietro sfacendo boccoli di lana giallastra. Era la lana che riempiva i nostri materassi (ce n'erano sempre fatti di "vegetale") e che periodicamente veniva arieggiata, lavata e resa soffice da quello strumento oppure se era poca (quella contenuta in un guanciale) anche a mano. Un' immagine, quella di Clorinda al lavoro, rimasta nei miei occhi come la fotografia di un tempo lontanissimo, silenzioso e già perduto allora.

mercoledì 1 agosto 2012

Persone.
Voglio iniziare da quelle che nella corte non abitavano ma che la frequentavano per varie ragioni.
Inizio da Boccio.
Boccio era imbianchino, dietro alla bicicletta aveva un carrettino sul quale teneva le varie tinte e quei piccoli rulli di gomma lavorata provvisti di un manico che faceva girare su e giù per decorare con fiori e disegni di ogni genere le pareti delle case. Aveva anche altri ferri del mestiere ma non saprei elencarli. Veniva nelle case in estate e rinfrescava le stanze con i suoi colori tenui. La novità di avere in casa per tutto il giorno l'imbianchino ci rendeva curiosi e Boccio era sorridente e parlava coi bimbi quindi spesso eravamo tra i suoi piedi; così, per mandarci fuori a giocare, ci raccontava che la giornata era molto calda e dovevamo andare in farmacia a comprargli un pò d'ombra di campanile oppure ci diceva di averci trovato un lavoro in Africa: raddrizzare le banane. Ero stupita di queste parole che non sapevo se credere o no ma il risultato era che uscivamo di casa. Era merce rara l'ironia e i bimbi l'apprezzavano confusamente come qualcosa di fantastico.
Un anno ricordo che entrò in casa dicendo: Mah, pullover, barattoli, uomini vivi, uomini morti... e si riferiva alle canzoni che cominciavano a essere in voga al posto di quelle, diciamo così, tradizionali. E lo diceva come se, in effetti, quasi quasi apprezzasse il cambiamento. Boccio era un uomo alto, moro, un viso aperto e cordiale, simpatico. Che il suo nome era Umberto l'ho saputo dalla sua tomba.

martedì 31 luglio 2012

In autunno iniziava anche la scuola e si vendemmiava o si era già fatto (uva di pianura, ma utilizzata lo stesso per un vino asprino che con l'acqua era ottimo per i bambini, il sapore aspro era quello preferito dai bimbi, frutta acerba, erba aceta, per me perfino l'aceto a garganella era buono, bevuto dal fiasco sotto l'acquaio!). Quindi gli odori diventavano quelli della scuola, la carta dei quaderni e dei libri, quella assorbente, l'inchiostro, il cuoio delle cartelle, il gesso e la cimosa, e anche quelli della pioggia (che profumo aveva la corte dopo le prime piogge, la terra ci buttava nel naso il suo odore), delle mantelline per ripararsi, degli "sciantillì" scomodi e freddi e quelli dell'uva che da qualche parte bolliva.

domenica 29 luglio 2012

Nei primi giorni d' autunno c'erano funghi buoni nelle pioppete del fiume, morecci li chiamavano, ma anche i pioppini che erano la mia passione. Si friggevavano i morecci o si facevano in umido (meglio i pioppini) e poi si mangiavano con la polenta di farina gialla nuova. Questi profumi si spargevano nella corte dalle finestre delle cucine, ancora per diverse ore aperte; noi vivevamo tra gli odori del cibo e mangiavamo quello che c'era in tavola. Beh, quasi tutto. Più avanti nell'autunno arrivava la farina di neccio che si mangiava anche a cucchiaiate o cotta negli anelli per cucito e per tutti c'erano le frittelle con la ricotta, i necci, la polenta che veniva cotta in un grosso paiolo sulla stufa economica facendole piano piano prendere acqua da un buco nel mezzo alla farina buttata tutta insieme e girata con il "mestone", un piccolo palo di legno che veniva usato da chi aveva forza sufficiente (perciò si aspettava che tornasse mio padre dal lavoro).La polenta di neccio veniva poi tagliata a fette abbastanza spesse servendosi di un lungo e resistente spago e gustata, in genere, con ricotta.

sabato 28 luglio 2012

Durante le feste poi insuperabili erano gli odori dei tortelli, anche quando si stavano preparando: un diluvio di odori, di pane, di carni, prezzemolo, aglio, pinoli, farina bagnata, uova e le esotiche cannella e noce moscata; e le torte coi becchi? di erba, di cioccolata, di amaretti (non mi è mai piaciuta, troppo dolce). A volte, quando c'erano  uova da utilizzare venivano preparati quegli insuperabili dolci casalinghi semplicissimi che venivano cotti in una specie di fornetto rotondo messo sulla fiamma del gas. Veniva fuori una ciambellona profumata che si finiva in un attimo (si doveva aspettare che ghiacciasse pena mal di pancia, ma che tortura l'attesa).

venerdì 27 luglio 2012

Non veniva tirato via niente: il lesso rimasto veniva tritato col coltello e con un pò di pane ammollato, prezzemolo e aglio diventava impasto per prelibate polpette che, se avanzavano, ma accadeva di rado, venivano messe in un sughetto di pomodoro e cipolle insieme ai capperi (in questo modo si riutilizzavano anche le striscine impanate e fritte). Piatti da regine che andavano all'acquaio ripuliti perfettamente col pane.

giovedì 26 luglio 2012

Gli odori della corte cambiavano a seconda della stagione e anche delle ore della giornata. In estate dalle finestre aperte si spandevano gli odori dei cibi cucinati ed erano diversi ogni giorno della settimana e dell'ora del giorno: verso mezzogiorno odore di minestrine in brodo, di minestroni, zuppe, frittate o uova affrittellate, sughi di pomodoro, pesce lessato, fritto o baccalà in umido (il venerdì); la sera prevaleva l'odore dei cosiddetti "tegami", un modo geniale e gustoso di cucinare le verdure utilizzando poca carne e così c'erano i tegami di carciofi, di cardoni, di barbe di prete, di stringhe e fagioli schiaccioni ma si sentiva anche odore di latte che si usava spesso anche la sera. La domenica era riservata al sugo, anche quello un modo di utilizzare al meglio un pezzodi carne estraendone quasi tutto il succo e tritando poi finemente quanto rimasto: un odore a  volte un pò dolciastro che non amavo quanto il sapore; poi il divino odore del fritto, di coniglio, di pollo, di zucchine.

martedì 24 luglio 2012

Le bimbe erano certo più brave nei giochi con la corda anche quando la corda non era individuale e non girava attorno al tuo corpo. Era una corda lunga tenuta da due bimbe che la facevano girare ritmicamente e non molto velocemente: una fila di bambine aspettava il momento in cui la corda arrivava più in alto e con una corsa vi passava di sotto: ci voleva un certo coraggio perchè la corda era grossa e pesante e se ti toccava il dolore era assicurato; si esitava a lungo guardando attente il suo giro e poi...via, a volte ad occhi chiusi. Chi faceva girare la corda veniva scelto di pari altezza e forza in modo da non causare oscillazioni alla corda e difficoltà danni a chi vi passava sotto.
Un gioco che ci rendeva agili e precise era il Mondo. Noi lo chiamavamo così, il Mondo, so che qualcuno lo chiama Campana. Disegnavamo sull'aia di Elvira, con pezzi di mattone rosso un rettangolo grande e si divideva in due parti uguali con una riga tracciata per il lungo, poi altre quattro righe orizzontali formavano una rete di dieci rettangoli che si numeravano dal 10 al cento o dall'1 al 10. Fatta la conta per decidere le partenze e dopo aver scelto le piastrelle da tirare e trascinare col piede si iniziava il gioco: con la mano si gettava la piastrella nel primo rettangolo (10) e a gamba zoppa si entrava dandole col piede una piccola spinta per avviarla al secondo rettangolo e così via. Il gioco era complesso e prevedeva varie procedure. Dovevi stare su un piede, utilizzarlo al meglio, non pestare le righe e ti potevi riposare al 50...Facevamo spesso questo gioco, qualche volta partecipavano anche i maschi, ma non c'era storia, le bimbe erano più brave.