domenica 29 aprile 2012

Non ho più visto i fiordalisi: celesti e rosa li ricordo in mezzo al grano di maggio, mescolati ai papaveri che macchiavano di rosso il campo, quel campo dove arrivarono i paloni di cemento dell'Enel che avrebbero sostituito quelli vecchi che ancora portavano luce nelle nostre case. "Ai paloni" divenne il nome del posto che prima era campo di grano: la ghiaia sostituiva la terra, quei lunghi pali grigi ammucchiati gli uni sugli altri sostituivano erba e fiori.
Si giocava a salire e scendere e a saltare, poi, sedute, si progettava la vita e scrivevamo, con pezzi di mattone presi in terra, i nomi dei ragazzi amati.

sabato 28 aprile 2012

Una volta aveva un cono di gelato che divideva con i cani e alle proteste delle donne opponeva sempre il suo sorriso.
La chiamavano Carlaccia, vendeva il corpo per le strade; le donne della corte la salutavano, anche mia madre, quando la incrociava le rare volte che mi portava sulla sua bicicletta a Lucca (allora non si diceva andare in città) per qualche spesa: Carla, com'è? Io sentivo imbarazzo e mi nascondevo dietro il corpo di mia madre: piccola, sì, e così attenta alle parole che i grandi usavano, parole che mi confondevano il bene e il male; era bene salutare le persone, non bene fare il mestiere di Carla. Le sfumature si formano più tardi.

venerdì 27 aprile 2012

Ed era quasi sempre estate quando la vedevo, era quasi sempre prima del tramonto, una luce obliqua e dorata inondava la corte. La precedevano o la seguivano, come una scorta, tre o quattro cani tranquilli e ubbidienti.
Un corpo esile, delicato, un'andatura calma come la voce che usciva da una bocca sorridente e ritrosa di parole, i capelli corti e biondi circondavano un volto regolare: occhi, naso e bocca tutto a misura senza prevalenza di un tratto sull'altro.
Le donne la chiamavano: Carla!
Era il momento che il sole bruciava meno e si alzava la brezza, le mamme avevano messo nelle sporte di paglia le bottiglie e quanto era servito per la merenda e si erano messe le vestaglie di cotone colorato: era l'ora del ritorno a casa. Del fiume conservo l'odore di fango leggero, un pò muschiato che arrivava con il venticello della sera, conservo l'odore dei funghi in autunno e delle erbe calpestate, conservo il sapore delle pesche e dei cocomeri rubati sulle rive sabbiose di S.Alessio (si attraversava il fiume dal "rasaio" e in pochi passi eravamo nel pescheto: i più grandi si indirizzavano ai cocomeri): l'impressione maggiore è quella della luce, una luce piena, un fondersi di acqua e cielo, un vero capovolgimento del cielo dentro l'acqua, con le nuvole che a guardarle in basso rimandavano anche la nostra immagine e potevi pensare di essere lassù nella bambagia bianca.

martedì 24 aprile 2012

E poi le parate.Si ammucchiavano i sassi più grossi dal bordo del fiume fino a mezzo metro circa dentro l'acqua, fin dove sfiorava le ginocchia, causando così una deviazione alla corrente e ottenendo un piccolo lago dove far stazionare barchette fatte con foglie di piante trovate lì vicino che poi venivano spinte via dal porto e seguite nei loro spostamenti. E mentre si giocava coi piedi nell'acqua bassa le donne si lavavano: le più giovani con costumi neri, le più anziane o timide con le camicie da notte bianche che si gonfiavano nell'acqua del "rasaio" che scivolava limpida verso il punto dove calava il sole e rimandava ai nostri occhi scintillii e bagliori mai dimenticati.

lunedì 23 aprile 2012

Dopo il bagno le mamme ci asciugavano con cura e ci cambiavano tenendoci nascosti con un asciugamano, ci pettinavano i capelli e ci davano la merenda. Allora cominciavano gare con i ciottoli tondi e piatti: girando sul greto del fiume facevamo scorta di quei sassi grigi e a turno li lanciavamo nell'acqua quieta e alta, chinandoci per riuscire a prenderla nel pelo, in modo da far saltare i ciottoli più volte possibile prima che si immergessero.
Qualcuno dei più grandi riusciva a far raggiungere al sasso l'altra sponda e allora si sentiva il rumore dell'arrivo: clac!

sabato 21 aprile 2012

Le donne chiacchieravano felici dopo aver sistemato nei posti giusti cibo e bevande per la merenda e all'ora giusta risalendo una piccola salita e traversando la strada che costeggia il fiume si scendeva sul greto dove ci aspettavano acqua fresca, spruzzi, le prime nuotate, le bevute inevitabili e i richiami delle donne preoccupate per l'acqua alta.
Imparammo a nuotare nell'acqua del Serchio, provando a traversarlo come i grandi; portavamo costumi di lana colorata che ci pungevano la pelle bagnata e arrossata dal sole.
Al fiume andavamo in agosto, nei giorni di canicola quando la pioppeta folta e alta dava fresco e ristoro alla luce accecante del sole; quasi tutti i giorni in bicicletta o a piedi passando dalla strada o attraverso i campi si arrivava ai poggi  e al di là i pioppi ci vedevano giocare a palla, a tamburello, ingaggiare gare di corsa in bicicletta su improvvisati percorsi.
Il gioco più bello era rotolarsi dal poggio: correre sulla cima, stendersi a terra e lasciarsi andare giù ad occhi chiusi; le erbe e i fiori "aggiaccati" dopo il nostro passaggio ci donavano i loro profumi e quando la discesa era finita si aspettava ancora un pò ad aprire gli occhi, assaporando quegli istanti di perfetta felicità.
E poi al Fossetto, dal quale sgorgavano polle di acqua fresca da bere dopo le corse nei campi e le discese a perdifiato dai poggi:" L'acqua corrente la beve il serpente, la beve Dio, la posso "beve" anch'io".Si recitava velocemente la frase entrando a piedi scalzi nell'acqua e andando verso la parte del fosso più vicina al ponte sopra cui passava la strada; lì le polle uscivano da sotto la ghiaia fine e pulita, l'acqua raffreddava i piedi e allora bevevamo mettendo le mani a coppa.
Poco distante le donne sciaquavano federe e lenzuola prima tenute a bollire in acqua e cenere nelle massaie di zinco.

giovedì 19 aprile 2012

I tovaglioli sull'erba e sopra le merende da mangiare velocemente per cominciare a giocare: a capriole, a cercare chiocciole (chiocciola chiocciola marinella, tira fuori le tue cornella sennò t'ammazzo!), a paradiso purgatorio inferno ( una spiga verde da sfogliare resta a resta per arrivare all'apice, il paradiso), a far finta di essere "signore; se in tante, un girotondo veloce, a prendersi le mani a coppie e girare in tondo fino a stordirsi e cadere nell'erba, a saltarci a vicenda chinate a terra a quattro zampe o, meglio di tutti, a moscacieca, usando come paraocchi un tovagliolo.
I maschi salivano sul tetto basso della casina arrampicandosi coi piedi nudi dalle piccole finestre; più ardua la discesa con un salto nell'erba: i più piccoli a volte rimanevano lassù finché i grandi non decidevano di dare aiuto.

mercoledì 18 aprile 2012

Era anche il tempo dei merendini,la parola passava dalle nostre bocche alle mamme che preparavano il solito "pane e ...", avvolgendolo in un pò di carta, più spesso in un tovagliolo di stoffa e vi aggiungevano qualche volta una bottiglia di acqua mista a vino: - Si va alla casina del Bisordi!
Era nei campi a nord, dietro la corte, campi che la separavano dai poggi del fiume, campi coltivati a rape o a orto, liberi da usare in gran parte, specie dopo il taglio del fieno; una casina bassa, certo un ripostiglio di attrezzi agricoli, per noi un mistero, con la sua porta chiusa, le due finestrine dalle quali si intravedeva uno spazio interno buio (Forse qualcuno ci dorme la notte...).

martedì 17 aprile 2012

L'estate cominciava a maggio nel salotto della casa di Matilde, addobbata di rose, quando, vicino il tramonto, ci recavamo grandi e piccini per il "maggetto", gli ultimi giorni con vestiti sbracciati e zoccoletti, i visi già arrossati dal sole.
Prima, a saltar le fosse, rischiavamo di pestare grosse bodde silenziose e pigre sotto i piedi nudi e leggeri, subito rinfrescati nell'acqua corrente della fossa e si respiravano odori e sapori come quelli del glicine che fiorisce due volte l'anno: mettevi in bocca il fiore azzurrino, succhiavi il dolce e volavi via sulla corda che tra una finestra della casa e l'altra della capanna di Elvira faceva da altalena, spinta a turno sul tempo di una filastrocca sillabata: " Fin-che-du-ra-fa-ven-tu-ra!" e chi volava spingeva il corpo con le gambe, con gli occhi e col cuore per secondare l'ultima spinta, la più forte, data dai compagni.

lunedì 16 aprile 2012

Nostra era la corte , con le case e l'acqua della pompa e il pratino, le porte sempre aperte per un pò d'alcol sulle ginocchia sbucciate ( il bruciore alleviato da soffi ripetuti) e tutti, tutte erano lì per ascoltarti, per difenderti, per rimproverarti, per disegnare vie fiorite davanti casa quando facevi la prima comunione ( che giornata pesa nella chiesa affollata, con le panche scambiate di posto che non la riconoscevi, col vestito che t'impacciava e i capelli arricciolati o coi boccoli): nelle fotografie visi stupefatti di bambole bianche; a casa, però, tutti i bimbi della corte intorno alla tavola allungata a bere cioccolata calda, versata dal servito buono usato in quelle occasioni e subito riposto nella credenza, e a gustare brioches gonfie e dolcissime, tolto alla fine il vestito bianco inamidato e indossato qualcosa di fresco e nuovo, cucito nelle sere precedenti con la Singer, il rumore mi faceva addormentare.

domenica 15 aprile 2012

D'estate i fichi d'India rallegravano la corte, davanti e dietro: le case erano una accanto all'altra, i muri in comune, quasi tutte a due piani con porte d'ingresso opposte, una a nord, l'altra a sud, erano schierate su tre file, l'una di fronte all'altra. Oltre alle file delle case ce n'erano due di capanne con stalle sottostanti che ancora servivano agli animali e al fieno.
Partendo dall'estremo sud e andando verso nord, dov'era il fiume, si trovava la prima fila di capanne, poi uno spazio corte, la prima fila di case, un altro spazio corte, quello principale e più frequentato, la seconda fila di case e, dietro, la strada comunale stretta e sterrata, ancora uno spazio in parte erboso, in parte lastricato in pietra, la terza fila di case, non tutte unite tra loro e infine l'ultima fila di capanne.
E poi campi, la fossa, altri campi, il Fossetto, i poggi e le pioppete, e il nostro fiume, il Serchio.

sabato 14 aprile 2012

Erano calde le notti e ancora sui gradini delle case, dopo cena (a volta caffellatte, un uovo affrttellato), a contar le stelle e a vederle cadere quelle scie, palpiti al cuore del cielo scuro, senza luna e nel buio intorno; anche la Madonna sull'incrocio della strada, buia, senza luci, solo quando qualcuno della corte aveva bisogno si accendevano lampadine.
Al buio dopo un pò ti abituavi, la strada e le buche le sapevi da sempre e i nostri volti splendevano di sorrisi e le voci si udivano, perfette (non macchine o motori o molto radi), basse a non turbar quel buio e quel silenzio e lo splendore del cielo con le stelle, negli occhi ancora porto il brillìo di quelle notti, insieme a quei sussurri, al mescolarsi di parole.

venerdì 13 aprile 2012

Era, l'estate, piena di vita, giorno e notte.
Il fiume ci aspettava per il bagno, per le parate di sassi, per le barchette di foglie, per le pioppete fresche e luminose dove riposare e mangiare, a volte tortelli o zuppa per Ferragosto; i rovi ci pungevano braccia e gambe e le more arrossavano bocca e petto.
Le mamme (pochi i padri, qualche volte a pescare) a chiacchiera con l'occhio ai bimbi, libere per un pò di rinfrescarsi e di goder dell'ombra e del seder sull'erba.
E già qualcuno ci guardava le gambe esili, lunghe o grasse ma ci catturavano l'acqua, l'erbe e la luce del tramonto sul "rasaio" quando era l'ora di tornare a casa.

giovedì 12 aprile 2012

Le mani sporche, l'acqua della pompa le sciacquava, uno a turno a pompare. E poi merenda, pane vino e zucchero, pane e marmellata di more, pane olio e aceto.
Più necessario il gioco, il cibo si nascondeva e il pensiero del dito acceso nell'aldilà a ritrovarne perfino le briciole ci toccava per poco la mente.
Anche i grandi merendavano: Dantina in estate peperoni e pomodori conditi, acciughe marinate e bicchieri di picciòlo, anche ai bimbi e agli operai che cominciavano ad aggiustare la strada che andava al Magro e a Pistelloni.

mercoledì 11 aprile 2012

Stagioni cambiavano la corte, la neve d'inverno copriva i campi e il pozzo di Adolfo e il pratino, dove uomini e donne gareggiarono felici con proiettili bianchi e gelidi, divisi da un orto, nell'inverno del '56 ( le mie mani di bimba, gelate, mi fecero piangere, poi, acccanto alla stufa).
In primavera, i pioppi tentavano di eguagliare la nevicata, ma dolce era il vento e le mani non pungevano. Gli zoccoli cominciavano a sentirsi nella corte, un rumore schioccante ( ma si andava più spesso a piedi nudi) di bimbi liberi di correre, di giocare nel pratino e sulla terra, bucata in più punti e lisciata intorno per il traguardo di palline di coccio e di vetro, colorate, si tenevano nelle tasche, specie i maschi favoriti dai pantaloni, e che gare e che imbrogli "San Giovanni 'un vole inganni", "Ingannino!", quando qualcuno avvicinava, barando, alla buca la pallina.

lunedì 9 aprile 2012

Come allora torna primavera: Luisa si veste leggero, cammina sollevata, e vaporosa va in città.
La corte si fa bella per la processione, l'altare, i panneggi amaranto e dorati, i fiori, petali rosati e bianchi da spargere in terra, dove passano, insieme all'Altissimo, cuccioli rosa e azzurri argentati, bimbe in organdis e picchè, bianche splendenti, le scarpe pulite col bianchetto, e ragazze con fasce azzurre, intimidite, nascondono sorrisi con la mano e pensano agli sguardi che, dopo, ci saranno.
Le torte d'erba pronte, le mamme profumate, il rossetto alle labbra e il velo sui capelli, appuntati il giorno prima dalle pettinatrici.
Sarte e pettinatrici le donne della corte, e ricami sapevano fare a tovaglie e lenzuola di lino per botteghe eleganti di Lucca.
Loro, sul letto, canapa e cotone ricamati e odorosi di spigo.
Eleganti le donne e dritte con tailleurs unici, tagliati con sicurezza e cuciti con fili d'amore dalle sartine, le stoffe comprate da Gennarino (veniva in bicicletta e riuniva le spose ai cambi di stagione): ricordo il cappotto di mamma di lana pesante verde nero bianco e le fantasie di cotone dei miei pagliaccetti.
Per il momento non mi escono parole ma usciranno e saranno ricordi, ricordi di un tempo e di persone e di un luogo in particolare dove ho imparato quasi tutto della vita: ma allora non lo sapevo.