sabato 30 giugno 2012

Le stoffe le compravano non più da Gennarino ma dal " merciaino" che passava periodicamente e accettava di essere pagato un poco alla volta. Quando il conto veniva saldato spesso le donne ricevevano un regalo; ricordo, una volta che ero già grandina, una scatola dei primi Moncherì, ce n'erano trenta.
Il cotone dei vestiti estivi era fresco e colorato, i modelli usati dalle sarte unici e bambine e donne eleganti e originali; con il vestito nuovo arrivavano le scarpe e le borsette, sempre in armonia di colori: eravamo signore senza saperlo!

venerdì 29 giugno 2012

Che si cresceva si vedeva dai vestiti che diventavano corti e andavano rinnovati, possibilmente secondo la moda, quella moda che le mamme e le sartine trovavano sui giornali femminili allora letti nella corte. E così, dopo il matrimonio di Brigitte Bardot con Roger Vadim tutte le bimbe della corte ebbero il loro abitino a quadrettini con le trine intorno alla scollatura e in fondo ai bombolini delle maniche. I quadrettini erano però diversi per dimensione e colore, gialli, azzurri, rosa, verde, rossi...per non trasformarci in bimbe di un istituto.
Quando si indossava un vestito nuovo, generalmente ai cambi di stagione in occasione di feste, "s'incignava".

giovedì 28 giugno 2012

Si cresceva e al fiume non andavamo più e mentre lo lasciavamo diventava sempre più sporco ma ci attiravano altre cose e così non ci accorgemmo della morte del Fossetto perché la falda si era abbassata, del capannino del Nozzi abbandonato, delle pioppete, dove avevamo raccolto funghi morecci accompagnate dai padri o dai fratelli in autunni pieni di splendore, che diventarono impraticabili e sudicie, delle fosse di confine tra i campi che si seccarono, della fossa a nord della corte priva ormai di erbe acquatiche e boddacchini sterminati dalle fogne delle nuove case che cominciavano a costruire. E senza quell'acqua sparirono gli orti dove avevamo rubato carote e pomodori e i campi di rape.

mercoledì 27 giugno 2012

Si stava al mare dalla mattina alla sera, ci godevamo la giornata facendo bagni ripetuti, passeggiando lungo il molo, prendendo a volte il pattino (ma noi di diceva patino) e andando al largo remando come avevamo visto fare ai bagnini ( i due del bagno Oceano erano belli e aitanti, mi ricordo che le più grandi li guardavano) e tuffandoci evitando le meduse, grosse e bianche che ci affascinavano e impaurivano. Non avevamo paura dell'acqua alta, lo stile di nuoto era rudimentale ma efficace a tenerci a galla, e poi ci aggrappavamo al "patino". Non ricordo di creme di protezione e poi la nostra pelle era stata già colorata dal sole in corte o al fiume. Le eventuali scottature la sera venivano spalmate di chiaro d'uovo sbattuto e dopo qualche giorno ci divertivamo a toglierci la pelle scura a strisce più o meno grandi, ci si "spellava".

martedì 26 giugno 2012

A volte si andava anche in treno; in bicicletta con borsoni e asciugamani, poi sui vagoni carichi di gente e finalmente alla stazione di Viareggio dove, per la distanza, si prendeva la carrozzella: per noi bimbe quasi ragazzine un'occasione di risate squillanti, ma anche le donne ridevano e godevano dell'essere trasportate e del passar una giornata diversa. Ma come mai ricordo soprattutto i volti sorridenti delle donne della corte?

domenica 17 giugno 2012

Sui dodici, tredici anni d'età si cominciò col mare. Il mare era Viareggio dove si andava qualche domenica con la SACA, il pulman, che si prendeva sullo Stradone, era celeste. Non mi ricordo di avere avuto in mano borse, le mamme sì, borsoni che contenevano cibo, bevande, asciugamani grandi, costumi, a volte i tamburelli. Il sabato c'era fermento in corte e nelle case: si preparavano le zuppe, a volte addirittura i "tordelli", coniglio fritto...doveva essere tutto pronto per la domenica mattina e soprattutto confezionato in modo da non sciuparsi o fuoriuscire dalle zuppiere che dovevano essere tenute "pari". Si scendeva alla fermata di Viareggio, vicina alla Passeggiata e, traversata la strada, si arrivava al bagno Oceano, andavamo quasi sempre lì. Continua... ma ci sarà una settimana di pausa.

sabato 16 giugno 2012

Tanti i bisticci, le urla, i pianti, gli imbrogli, le ciaffate, gli allontanamenti e i ritorni ma raramente intervenivano adulti a sedare i litigi che si risolvevano nel giro di poche ore, il broncio non durava più di tanto e i giochi si potevano cambiare come pure i compagni, ce n'erano così tanti, in corte davanti o in corte di dietro. E poi avevamo le fosse da saltare, i campi con alberi bassi di confine dove si poteva salire, la palla da far rimbalzare contro un muro recitando filastrocche, la corda girata da due compagni sotto la quale passare velocemente senza toccarla...

venerdì 15 giugno 2012

I giochi li imparavamo dai più grandi che ci dovevano tenere d'occhio quando eravamo troppo piccoli e così ci intruppavano e ci facevano giocare: passavano, consapevolmente o no, il testimone; quello che avevano avuto non si perdeva, si prolungava un tantino la leggerezza dell'infanzia e ci si rivolgeva ad altre cose lasciando un piede indietro, senza fretta di correre incontro alla vita. Abbiamo giocato tanto, fuori casa, insieme agli altri: se il gioco è il lavoro dei bambini noi eravamo stakanovisti, sempre a fare gli straordinari, il tempo non esisteva, non passava e nemmeno la fame ci riportava a casa se non dopo innumerevoli solleciti delle mamme.

giovedì 14 giugno 2012

Certo lo sculaccione era interessante e soprattutto giocavano con noi bimbe anche le sorelle e i fratelli più grandi: ricordo grandi circoli intorno ai quali girare, in senso inverso allo sculacciatore, per riconquistare il posto lasciato libero. Generalmente era nelle sere d'estate davanti alle case di Edilia, Dora e del Torselli perchè lì il buio era attenuato dalla luce pubblica sul cantone, i ragazzi più grandi venivano anche da altre corti e addirittura dalla città. C'era qualcosa in quelle sere che percepivamo anche noi bimbe; le attenzioni dei maschi verso le femmine, i sorrisi, le galanterie e si intuiva che sarebbe accaduto prima o poi anche a noi. Qualcuno che andava a letto presto protestava dalla finestra e si raccontava, ma io non l'ho mai sperimentato, di vasi da notte colmi svuotati sui partecipanti ai giochi.

martedì 12 giugno 2012

Molto spesso si giocava a palline, bastava che qualcuno le tirasse fuori dalle tasche che tutti ci si precipitava in casa a prenderle; col calcagno si scavava la buchetta, poi rifinita con le mani e ben lisciata intorno, si metteva una distanza da cui tirare e ...via al gioco. Dopo il primo tiro le palline, poche ormai quelle di coccio, bellissime, si avvicinavano al traguardo e con tiri di dita ( mi ricordo che era  il pollice a scattare contro la pallina  mentre l'indice lo teneva bloccato, se il tiro era verticale, con le nocche che toccavano la terra entrava in gioco la famigerata ancata, una spinta dell'intera mano che era però fuorilegge e causava bisticci infiniti) misurati e precisi si indirizzavano alla buca per vincere tutte quelle in gioco.
La primavera e l'estate erano le stagioni più ricche di giochi: a rimpiattino era quello più popolare, la corte era grande, si poteva aggirare facilmente e i nascondigli numerosi; una conta decideva chi cuccava, fino a venti, trenta e oltre, e un "pronti via" dava inizio alle corse per nasconderci. Silenziosi e rapidi si raggiungeva il posto prescelto, meglio se permetteva di vedere chi contava, non una parola, non uno scalpiccio davano indizi al cacciatore che era ansioso di scovarci e chiamarci per nome. I nascosti osservavano le sue mosse correndo a perdifiato verso il muro da toccare: Libero! Non mi piaceva il "Liberi tutti!" e questa regola prima dell'inizio del gioco veniva spesso deciso di toglierla.

lunedì 11 giugno 2012

Le porte d'ingresso delle case erano sempre aperte, d'estate le tende riparavano dal sole e dalle mosche (quanto DDT avremo respirato non lo so e comunque tutti i giorni le faccende finivano con una bella spruzzata di Flit, anzi di Flitte) e insomma dicevo, le porte e quindi le case, erano lì per entrare, a volte un lieve "permesso?".
Ma non si approfittava di questa ricchezza, solo quando ce n'era bisogno, a volte per disinfettare una ferita, che le nostre madri ci avrebbero rimproverate, o per ripararsi dalla pioggia. Si imparavano gli odori delle cucine degli altri. gli odori delle case, a occhi chiusi avresti detto dov'eri.

domenica 10 giugno 2012

All'inizio una grossa leva mandata su e giù faceva scendere l'acqua dalla pompa, la sostituirono con una ruota che si faceva girare con una manovella forse per fare meno fatica. Quell'acqua che scrosciava fresca ci sciacquava le ferite, ci dissetava dopo le corse, ci lavava le mani dopo aver giocato a palline sulla terra della corte; i grandi la usavano anche per lavare piccoli indumenti. Ricordo Emma, piccolina e magra con un secchiello sotto la pompa a sciacquare calzini: li riempiva d'acqua, li svuotava e li strizzava, li rigirava e ripeteva l'azione con metodo e cura.

sabato 9 giugno 2012

Si chiamava il murìcciolo, proprio così, e chiudeva la corte partendo dal muro della casa di Matilde; ci si sedeva lì a parlare, si facevano sfilate in equilibrio, avanti e indietro, era un posto dove riposarsi dopo i giochi, dove consumare la merenda magari bevendo alla pompa poco distante, era una pausa di riflessione e di distacco dal movimento. Seduta sul murìcciolo ho pensato e sognato la vita.

venerdì 8 giugno 2012

Un'altra casa, da tempo abbattuta, faceva parte in qualche modo della corte anche se ne rimaneva separata da un campo a est: lì abitò per qualche tempo, ma ne ho ricordi sfocati, una vecchietta che usciva di rado e aveva il naso sciupato da una malattia. Era una casetta a un piano che dava sulla via ed era circondata forse da una rete, ma c'era un cancello e un muro al quale si era arrampicata una splendida rosa, non una rosellina come ce n'erano tante ma una vera rosa e non so perché, ma quando la trovai abbattuta per far posto a strade e palazzi il mio dolore si rivolse proprio a quella rosa. Per diversi anni venne ad abitarla la famiglia Giangrandi: il padre grosso e pacioso, la madre bella e gentile, i figli Guido, Emanuela, Giovannino e il più piccolo del quale non ho ricordo.

giovedì 7 giugno 2012

L'ultima parte ovest della corte era un grande caseggiato, tutto abitato dalla famiglia Mencacci. In fondo, uno stradello conduceva sul retro e proprio vicino al suo imbocco un fantastico noce chiudeva la zona abitata. Mi ricordo Albertina, la madre di tutti i Mencacci, una donna vecchia e sorridente che mia madre andava spesso a trovare. Dei figli in quella casa erano rimasti in due, il più piccolo e Leonetto, l'unico che aveva continuato a lavorare la terra e si era sposato con Zelinda, una donna alta e bionda, espansiva che gli aveva dato due figli, Francesco e Michele. Leonetto era un uomo che sprigionava forza, lo ricordo sul trattore nei campi dietro casa.

martedì 5 giugno 2012

Otto persone abitavano nella casa del Lippi, il padre, che si chiamava Alfredo, Elia la moglie, tre figli, Giampiero, Patrizia e Claudio e c'erano i nonni Achille e Uliena. L'entrata sud si apriva con un corridoio che dava, a destra, in una saletta con un bel sofà, avanti si arrivava alla cucina che era preceduta da un sottoscala-ripostiglio ben organizzato: lì una sera ho visto Elia che sistemava la spesa e che dalla sporta toglieva i boeri per Patrizia e Claudio. Giampiero era dell'età dei miei fratelli e frequentava l'istituto tecnico, Patrizia era nel gruppo di bimbe nate nel dopoguerra, come me, frequentava meno la corte grande ma andavamo nei campi al merendino e al fiume con le mamme. Claudio, di qualche anno più piccolo, trovò meno coetanei con cui giocare: mi ricordo che preferiva la cocacola all'aranciata e alla spuma di noi bimbe.

domenica 3 giugno 2012

Poi la casa di Amedeo, la moglie Bruna e l'unica figlia Renza. Una casa grande che non frequentavamo, Renza era più grande e già fidanzata o promessa a un giovane che lavorava all'estero e non partecipava quasi mai ai giochi delle sere d'estate, giochi come "lo sculaccione" che vedevano insieme ragazze e bambine e giovanotti che venivano perfino dalla città: eh, sì, le femmine prevalevano in corte Fibbiani.

sabato 2 giugno 2012

Separata dalla casa di Felice da un piccolo passo c'era quella del Gigliucci, Giulio, sua moglie Lida, le due figlie Rosanna e Virginia detta Giggia. Una casa con stanze grandi al primo piano, camere che ospitavano anche Truccio, il nonno, che aveva una testata di capelli ancora scuri e si diceva che avesse messo un dente a settant'anni e Iolanda, per certi periodi. Iolanda aveva lavorato in Francia e sapeva fare piatti insoliti per noi: un giorno aveva preparato "il dolce che trema" e potei assaggiarlo: un budino delicatissimo al sapore di caffè, mi viene ancora l'acquolina in bocca.

venerdì 1 giugno 2012

La quarta era abitata da Felice, Dora, detta Tintina, e i figli: le femmine già ragazze da marito Luana e Franca (Franchina) e Alessandro (Sandro) della mia età. Mi ricordo bene il matrimonio di Franchina col Salati, nel pomeriggio se ne andarono in viaggio di nozze in vespa, Franchina con i pantaloni alla pescatora. Si leggeva feicità negli occhi dei due sposi e noi forse poco più che bambine eravamo allegre, qualche donna sposata versava lacrime.